(Salvatore Parlagreco) Ho incontrato a Gemona nel Friuli 109 giovani professionisti provenienti da 36 nazioni e quattro continenti, partecipanti al Laboratorio internazionale della comunicazione promosso dall’Università Cattolica di Milano e del Friuli, ed ho chiesto loro che cosa sapessero della mafia siciliana. Sudamericani, asiatici, europei e mediorientali hanno opinioni diverse su tutto ma sulla mafia siciliana la pensano tutti allo stesso modo, è un’organizzazione forte, indistruttibile, guidata da uomini veri, che sanno che cosa vogliono e come ottenerlo. Il crimine siciliano, con le sue liturgie e le sue tradizioni esercita un fascino irresistibile. Il padrino di Mario Puzo, arrivato sugli schermi con Marlon Brando, costituisce nei loro paesi la rappresentazione concreta e visibile della mafia.
Gli allievi di un professore di Addis Ebeba vogliono sapere tutto sul foldfinger siciliano: chi è, dove vive, come si veste, come parla: Le sue automobili e le sue amicizie, le sue relazioni con le istituzioni e con la gente nel territorio. I giovani amici di un economista dello Zambia sono convinti che quella mafiosa sia la carriera più redditizia e la via più facile per<raggiungere benessere e guadagnare rispetto e considerazione. Anche nello Zambia la mafia siciliana è un modello di comportamento.
Il veterinario di Città del Messico, specialista in medicina interna per cani, uscito dall’università qualche hanno fa, ha osservato con attentyzione i comportamenti dei narcos e sospetta che abbiano molto in comune con quelli della mafia siciliana. I narcos e i boss delle mafie messicane sono devoti alla Madonna e hanno i santi protettori, dei s’ingraziano il favore portando doni e facendo voti. Le donazioni dei narcos devoti sono cospicue, sia che si tratti di denaro che di monili in oro. Destinataria del voto dei narcos è la Santa Muerte: dopo avere compiuto una rapina o portato a termine con successo la vendita di una partita di droga, i devoti si recanoi presso il santuario della Madonna, rappresentata con uno scheletro atzeco.
Una giovane guatemalteca precisa che questa fede religiosa è diffusa in tutto il Sud America, non solo in Messico, fra le bande criminali della droga, soprattutto fra i banditi tatuati del Salvador e del Guatemala, tradizionalmente collegati con Cosa nostra siciliana e gli anticastristi cubani di Miami.
Qual è l’origine di questa tradizione religiosa? Comè nata la credenza che il Padreterno possa aiutare i malandrini e concedere loro i suoi favori e la sua benedizione? Che basti rispettare il voto, pregare il santo, per potere guadagnarsi l’aldilà felice?
Ciò che per noi è semplicemente inconcepibile, accade ogni giorno.
I siciliani sanno che la mafia isolana, e non solo, ha conservato queste devozioni, almeno fino a quanto la Chiesa Cattolica siciliana non ha assunto posizioni chiare e radicali (Pappalardo, Papa Giovanni) ed ha avuto i suoi martiri (Padre Puglisi). I rituali, invero obsoleti, della mafia siciliana contemplano la devozione verso i santi, crocifissi e madonne. La liturgia dell’iniziazione del boss, il suo battesimo con la malavita, impone la puntura di uno spillo e la bruciatura del santino.
Nel Centro America, tuttavia, accanto alle devozioni religiose si sta affermando la musica ranchera dei narcocorridos, i canti popolari dei trafficanti di droga, che esaltano le figure mitiche di capi coraggiosi e invincibili. E’ un rap che ricorda il cunto dei cantastorie siciliani, recitato nelle piazze e nelle stradine dei paesi dell’Isola, litanie che hanno reso leggendarie le figure di banditi feroci come Turiddu Giuliano e accomunato nel ricordo coraggio e onore di criminali, come il bandito di Montelepre, e straordinari difensori della libertà e della giustizia, come il sindacalista Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia.
Ciò che la Sicilia ha vissuto, e per certi verso vive, in vaste aree del mondo è realtà.
Come uscirne? Domanda un giovane croato. Facendo tutti quanti la nostra parte, facendo i conti con il proprio passato, valorizzando la nostra diversità. A lui e agli altri giovani, che avevano visto il film L’uomo di vetro, ho chiesto perciò se condividessero la scelta del protagonista, Leonardo Vitale, di confessare i suoi delitti e denunciare i crimini delle cosche. Il pentimento del piccolo boss palermitano è stato largamente condiviso ma una professoressa portoghese si è domandato se Leonardo abbia fatto bene a mettere a repentaglio la vita di coloro che l’amavano, oltre che la propria. Di certo, ha affermato, sapeva che la mafia l’avrebbe punito e non ne ha tenuto alcun conto. E’ una pazzia tradire la mafia, insomma.
Quali considerazioni trarne?
Nell’immaginario collettivo la mafia siciliana mantiene uno straordinario carisma. Più che la sua pericolosità, ne viene percepita la forza e si subisce il suo fascino. La mafia siciliana conta meno, oggi, della organizatsja russa, della yakuza giapponese, la triade cinese, la ‘ndrangheta calabrese o i cartelli colombiani e messicani, ma ottiene maggior credito e resta un modello da imitare.
Per quale ragione?
La risposta la conoscono bene a Hollywood. E’ soprattutto lì, ma non solo, che i boss siciliani diventano uomini veri, sono feroci e generosi, giustizieri senza macchia e senza paura. Eredi dei famosi pistoleri dell’Est, ma dotati di saggezza e di parole efficaci quanto le munizioni.
Quando la critica – cinematografica, letteraria eccetera- comincerà a guardare ai contenuti delle opere con lo stesso scrupolo con cui analizza la rappresentazione estetica, la buona scrittura, o la fotografia e i dialoghi? La libertà dell’arte è intoccabile, quanto quella dei fruitori. Qualcuno deve insegnarci a capire che un buon film o un buon romanzo può anche essere un cattivo messaggio.








