I ruoli della nuova commissione sono più fluidi, più intrecciati, secondo una delle principali raccomandazioni del rapporto Draghi. Non è un solo commissario che decide circa gli stanziamenti, è tutto il collegio che decide. Questo per qualsiasi argomento e stanziamento nel bilancio Ursula von der Leyen
Negli ultimi anni, il quadro politico europeo ha attraversato trasformazioni radicali che ne hanno ridefinito le fondamenta. In questo contesto, la nuova Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen sta introducendo cambiamenti significativi nel modo in cui vengono prese le decisioni all’interno delle istituzioni europee. La paternità di questa svolta sarebbe di Draghi? Di certo Ursula lo chiama in causa, cercandone la copertura politica. Tra le principali raccomandazioni che emergono dal rapporto Draghi,innfatti, una spicca per la sua portata rivoluzionaria: la fluidità e l’interconnessione dei ruoli all’interno della Commissione.
Tradizionalmente, la gestione delle risorse europee e la ripartizione dei fondi seguivano una logica verticale, spesso personalistica. Il Commissario incaricato di un certo portafoglio deteneva poteri significativi nell’allocazione degli stanziamenti, portando a una divisione marcata delle responsabilità. Oggi, questo schema rigido viene messo in discussione. Il nuovo approccio, come suggerito nel rapporto Draghi, promuove una gestione più collegiale, dove è l’intero collegio dei commissari a deliberare sugli stanziamenti e sulle politiche di bilancio. Non è più il singolo commissario a guidare le scelte, ma un’interazione continua tra i diversi membri del collegio.
Questa evoluzione riflette una tendenza più ampia e profonda: la graduale scomparsa di una netta caratterizzazione politica dei governi. Non si tratta solo di un cambiamento amministrativo o tecnico, ma di un mutamento sostanziale nel modo in cui la politica viene concepita e praticata.
Una delle più evidenti trasformazioni del panorama politico europeo è il declino delle forti distinzioni ideologiche che, storicamente, hanno separato destra, sinistra e centro. Mentre fino a qualche decennio fa le appartenenze partitiche erano spesso rigide, con piattaforme ideologiche ben definite, oggi vediamo governi che operano con un pragmatismo crescente. La differenza tra sinistra e destra tende a sfumare sul terreno concreto, quando – come si suole dire- si hanno le mani in pasta, cioè in un contesto dove le decisioni sono spesso dettate più da esigenze tecniche e da equilibri economici che da visioni politiche ben radicate.
Il governo di Ursula von der Leyen rappresenta emblematicamente questa transizione. Ex ministra della Difesa tedesca, von der Leyen è stata scelta per guidare la Commissione non tanto per la sua adesione a un programma politico preciso, quanto per la sua capacità di mediazione e gestione. Il suo esecutivo è una coalizione di forze eterogenee, che includono liberali, socialisti e verdi, con l’obiettivo di trovare soluzioni condivise più che di promuovere un’agenda politica univoca.
Il cambiamento è evidente anche nel modo in cui vengono gestiti i temi più scottanti dell’agenda europea: la crisi climatica, la transizione digitale, la politica estera. In tutti questi settori, la Commissione sta cercando di superare le logiche tradizionali basate su etichette politiche, in favore di approcci integrati e trasversali. Questa evoluzione sembra indicare che la politica europea stia seguendo una traiettoria sempre più orientata verso la tecnocrazia e la governance condivisa, lontano da rigidità ideologiche.
Il modello di governance collegiale suggerito dal rapporto Draghi e attuato dalla Commissione von der Leyen rappresenta un tentativo di rispondere a questa nuova realtà. Nelle istituzioni europee, così come nei governi nazionali, sembra che le divisioni ideologiche stiano cedendo il passo a una politica della gestione, dove l’efficienza, la competenza e la capacità di mediazione diventano le nuove parole d’ordine. Questo non significa che le ideologie siano del tutto scomparse. Piuttosto, si tratta di una loro trasformazione: la politica non è più un campo di battaglia ideologico, ma uno spazio di negoziazione continua tra interessi diversi, dove l’obiettivo principale è il compromesso piuttosto che la vittoria di un’idea sull’altra.
Tale approccio, però, comporta anche dei rischi. L’eccessiva tecnicizzazione della politica potrebbe allontanare ulteriormente i cittadini dalle istituzioni, creando un divario tra élite tecnocratiche e popolazione. La sfida per la Commissione Europea e per i governi del futuro sarà quella di bilanciare il pragmatismo con una rinnovata capacità di ispirare e coinvolgere i cittadini, mantenendo vivo il dibattito democratico e l’attivismo politico.
La domanda che resta è se questo modello riuscirà a mantenere la sua efficacia a lungo termine, garantendo al contempo trasparenza, partecipazione e responsabilità, o se ci sarà un ritorno a una politica più connotata ideologicamente. Solo il tempo potrà dare una risposta definitiva, ma nel frattempo, l’Europa sta sperimentando una nuova forma di governance, forse più adatta alle sfide globali che ci attendono. Grazie all’astuzia di Ursula qualcosa è davvero cambiato?






