Il fatto non decide la rilevanza della notizia, anche quando l’evidenza sembra offrire una verità incontrovertibile. Occorre che accada nel posto giusto e nel momento giusto perché esprima la sua efficacia. Una catastrofe resta tale, ma se si verifica dall’altra parte del mondo, il suo clamore scema, e le onde emotive che suscita approdano silenti sul bagnasciuga della coscienza collettiva.
I tempi sono essenziali ai fini dell’uso mediatico, la creazione del consenso o del dissenso. Non si tratta tanto di fabbricare la notizia o manipolarla fino a falsificarla, ma di farla giungere quando esplode con virulenza. I contenuti sono solo l’esca, il detonatore e la miccia che fa esplodere la notizia, sono il tempo ed il luogo in cui essa nasce.
La tempistica, oggi, può fregiarsi di un potere fino a ieri demandato agli dei, alla provvidenza, al fato: essa tira la giacca al destino, boccia o premia, affligge e umilia, accompagna il percorso fino in fondo, come quei sofisticatissimi micidiali missili, che inseguono il bersaglio dovunque esso si nasconde, lo stanano e lo colpiscono.
La signoria della tempistica è ormai totale. Quando il fatto si compie nei palazzi di giustizia, si mette in moto un ingranaggio “comunicazionale”, secondo il quale il tempo spiega il concepimento del fatto, spogliandolo del suo contenuto, denunciandone la origine. Una bomba ad orologeria, come si ama definirlo se investe la sfera giudiziaria, a prescindere dalla gravità, dall’attendibilità delle accuse, dalla qualità dei personaggi coinvolti. L’avvisto di reato, il rinvio a giudizio, la sentenza sono un guscio vuoto. E siccome il tempo è sempre sospetto, ogni volta che la magistratura inquirente decide un provvedimento, l’effetto è identico.
In che misura è possibile tirare la giacca alle sorte? E quali soggetti possono ricorrere, se lo vogliono, alla distorsione e manipolazione del fatto, agendo sui tempi? Anche il governo, non solo le Procure, accedono alle informazioni che creano clamore. La sicurezza, la difesa e i servizi segreti sono detentori e custodi di informazioni inaccessibili ai comuni cittadini. Ogni mattina sulla scrivania del capo del governo, dei Ministri degli Interni, della Difesa e del Sottosegretario alla presidenza con delega ai servizi segreti, giunge una informativa che contiene i fatti che contano, classificati e non.
Le autorità di governo intrattengono relazioni formali e confidenziali, com’è normale che sia, con l’apparato investigativo e di vigilanza sulla sicurezza; sanno ciò avviene o sta per avvenire, possiedono perciò gli strumenti per dettare la tempistica e possono, se lo vogliono, usare i fatti che conoscono e quelli di cui hanno semplici sospetti per assumere decisioni utili. Non sono solo destinatari asettici e neutrali delle informazioni classificate. Ciò non significa che ne facciano un cattivo uso, naturalmente.
Seguendo la “legge” della bomba ad orologeria, senza condividerla, dovremmo chiederci, per restare all’attualità, se sia servito al governo ritardare di due settimane la informativa in Parlamento sulla liberazione del comandante dei lager libici. La consuetudine ci indurrebbe a sospettare che l’attesa osservata dal governo non sia stata infruttuosa dal momento che ha potuto usare un’arma formidabile per rilanciare in campo avverso le accuse dell’opposizione, disponendo dell’arresto di un dirigente campano del maggior partito di opposizione, accusato di associazione a delinquere per avere regolarizzato con documenti falsi la posizione di alcuni migranti. “Sui migranti c’è un sistema, l’avevo denunciato”, ha detto Giorgia Meloni, uscendo dal silenzio istituzionale cui lo scandaloso rilascio del generale libico l’aveva costretta, prima che i suoi Ministri affrontassero l’opposizione. “Ecco perché la riforma della Giustizia fa impallidire la sinistra.”, ha detto alla vigilia del dibattito parlamentare.
Nella storia politica e parlamentare dell’Italia repubblicana, non si era mai arrivati a tanto, nemmeno nei tempi del “piove, governo ladro” e delle parrocchie trasformate in fortezze anticomuniste. E’ cambiata l’opposizione, spaesata e disunita? E’ cambiato il governo, in preda al “rancore vittimistico dei vincenti” reduci di astinenza ed emarginazione? La diagnosi lascia interdetti; che la pancia stia prevalendo sulla testa pare un processo irreversibile con il quale avremo a che fare a lungo e che costringerà le intelligenze del Paese, e non solo, a misurarsi con la tempistica piuttosto che con i contenuti dei fatti e dei misfatti.






