Uno dei primi atti del governo Meloni tra la fine del 22 e l’inizio del 23 fu di attribuire ai servizi segreti la facoltà di intercettare chiunque per motivi di sicurezza su semplice autorizzazione della Presidenza del Consiglio e poi del procuratore generale di Roma. In pratica il governo si è attribuito il controllo di una delle attività più controverse delicate e invasiva. Roba da kgb
E’ l’incipit di un corsivo di Mattia Feltri su La Stampa (27.2.25). Incuriosisce, anzi inquieta: i corsivi hanno il compito di far pensare, le notizie arrivano dalla cronaca, gli editoriali, i reportages. Feltri non usa il linguaggio criptato e va subito al dunque, i prodromi di una storia di spionaggio domestico che, come nei film cult, ha come protagonisti i Servizi segreti, governo, cospiratori e complottisti.
Lamentando, a ben ragione, la sonnolenza dell’opposizione sulla vicenda, a suo avviso (ed al mio) estremamente grave, Feltri ricorda che volontari delle ONG come Luca Casarini giornalisti, come il direttore di Fanpage, un sacerdote come donna Matteo Ferrari Mattia Ferrari, tutta gente molto attiva nelle faccende dell’immigrazione, è stata intercettata con strumenti tecnologici che la società (Paragon) concede soltanto a soggetti istituzionali. Feltri ci avverte: gli intercettati sono tali o per mano dei servizi segreti o di una procura e i sospetti vanno sui servizi, dunque su Palazzo Chigi.
Il mistero s’infittisce a dispetto delle deduzioni in chiaro del giornalista. Quel “dunque su Palazzo Chigi” sarebbe la conseguenza delle regole instaurate dal governo
Nel caso in specie, tuttavia, il governo con pubbliche dichiarazioni del sottosegretario alla Presidenza, Mantovano, delegato ai Servizi segreti, smentisce che i Servizi abbiano ascoltato alcuna delle vittime (avvertite della intercettazione da Meta, la compagnia che possiede FB e Whatsapp). Noi non c’entriamo niente, dichiara Mantovano. Spetta all’autorità giudiziaria trovare gli intercettatori.
L’equivalente della scatola nera, quella che rivela le cause di un incidente aereo, è il soft usato alla bisogna, che si chiama Graphite ed è prodotto da Paragon, un’azienda superspecializzata che opera in Israele per conto del governo (molto amico del nostro) e vende i suoi prodotti a soggetti istituzionali con obbligo di non fare un uso illegale o inappropriato del formidabile intrusore. Paragon ha venduto il suo gioiello al governo italiano, perché i servizi se ne servissero per fare il loro lavoro, la sicurezza, e non per ascoltare giornalisti, come il direttore di Fanpage.
Diamo per scontato che il gioiello, costosissimo, può trovarsi in mani sbagliate, gente senza scrupoli, o comunque di organi istituzionali che, su input esterni o interni, s’introducono in casa altrui. Paragon vende il suo prodotto di nicchia, non fa l’esame del sangue agli acquirenti. Maglie larghe? Fino a un certo punto, dal momento che il Guardian, quotidiano britannico, ha riferito che gli israeliani non avrebbero gradito di essere stati messi in mezzo, suscitando reazioni di varia natura.
A questo punto, aprendo il fascicolo, ci troviamo davanti ad alcuni indizi: 1) la facoltà del governo di intercettare chiunque per motivi di sicurezza su semplice autorizzazione della Presidenza del Consiglio e poi del procuratore generale di Roma; 2) i noti sospetti delle autorità di governo sulle presunte complicità delle Ong con i mercanti di esseri umani nell’immigrazione clandestina; 3) l’uso di Graphite da parte del governo italiano; 4) la scoperta che gli intercettati appartengono alla famigerata schiera dei salvatori di sventurati in mare (tra gli altri un sacerdote, che parla a telefono anche con Papa Francesco).
L’indagine non parte da zero una volta tanto, ma questo non induce all’ottimismo. Lo spionaggio è materia oscura, buco nero galattico. Una domanda sorge spontanea: se le intercettazioni avessero provato la complicità dei volontari Ong con gli uomini del Kapò libico Almasri (messo in libertà dal governo italiano!), chi ne avrebbe tratto enorme vantaggio?








