Secondo i dati forniti dal primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio, durante l’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, quasi il 64% dei procedimenti che escono dalle Procure dopo la fine delle indagini preliminari non va a giudizio ma viene archiviato. Si tratta di quasi 430mila fascicoli. Un dato allarmante che evidenzia una giustizia penale che gira a vuoto.
Nel 2022 si sono registrati 547 casi di ingiuste detenzioni, con un costo per lo Stato superiore a 37 milioni di euro . Negli ultimi sette anni, si contano 4.920 arresti ingiustificati, mentre le sanzioni disciplinari per i magistrati coinvolti sono state solo nove. Nel 2023, i delitti denunciati sono aumentati del 3,8% rispetto all’anno precedente, con incrementi significativi nei furti (+6%), truffe e frodi informatiche (+10,3%) e rapine (+9,5%) . Questo aumento ha sovraccaricato un sistema giudiziario già in difficoltà, con un numero insufficiente di magistrati e risorse
Il dato preoccupante è la percentuale di assoluzioni in primo grado pari a quella delle condanne (46%), o superiore per i reati considerati “minori” (come furti, spaccio, risse, truffe), ma molto diffusi e di forte impatto sulla vita delle persone e sulla loro percezione dell’efficienza del sistema giudiziario.
I detenuti in attesa di giudizio a fine 2022 erano 8.430, a fine 2024 9.475. Un aumento che indica una crescita delle detenzioni in attesa di giudizio, spesso irrogate a cittadini riconosciuti estranei ai fatti e innocenti. Quasi la metà dei processi si conclude con un’assoluzione, spesso dopo lunghi periodi di detenzione preventiva. Questa situazione sarà aggravata dall’aumento recente del numero dei reati: ne sono stati inventati negli ultimi due anni ben 62. Una proliferazione legislativa che sembra rispondere più a esigenze propagandistiche che a reali necessità di sicurezza. La legge del bastone e della carota, piuttosto che una giustizia giusta.
I numeri ci rivelano che gli errori giudiziari non sono dovuti solo a sentenze sbagliate, ma a una strumentalizzazione della politica securitaria. Nel cuore dell’apparato giudiziario italiano si cela una macchina che, anziché garantire giustizia, produce errori e di conseguenza, ingiustizie, considerate sentenze “sbagliate” nell’immaginario collettivo. Il giudice che sbaglia, evento fisiologico pour se non auspicabile né giustificabile, ad una lettura superficiale, diviene la causa prima del malfunzionamento dell’amministrazione giudiziaria. Ad ogni assoluzione o modifica di una sentenza nei gradi di giudizio sembra corrispondere, una condanna morale e professionale al giudice che ha emesso la sentenza. Sarebbe utile riformare le misure cautelari: limitando l’uso della detenzione preventiva ai casi strettamente necessari, garantendo una valutazione rigorosa delle prove e depenalizzare reati minori, riducendo il carico giudiziario concentrandosi su reati di maggiore gravità e impatto sociale; investire in risorse, potenziando il numero di magistrati e il supporto amministrativo per migliorare l’efficienza del sistema giudiziario.
Invece di affrontare le cause e innovare e pianificare le risorse da destinare alla sicurezza e alla prevenzione, si risponde a una percezione di insicurezza suscitata dalle stesse autorità di governo, che l’hanno alimentata e nutrita attraverso costanti iniezioni di paure talvolta del tutto ingiustificate. In una espressione, una partita di giro indecorosa.
La giustizia penale, che decide la sorte dei cittadini, viene utilizzata come strumento di propaganda, una fabbrica di errori che colpisce soprattutto le fasce marginali (alcuni reati atrtribuiti ai colletti bianchi sono stati depennati).. È necessario un cambio di paradigma: investire in prevenzione, garantire un processo equo e rapido, e soprattutto, depoliticizzare la giustizia. Solo così si potrà restituire dignità al sistema giudiziario e fiducia ai cittadini.







