Restrizioni nella libertà di pensiero, scientifico, culturale, politico, fino alla lista delle parole ed espressioni cone “diversità” “equità” “cisi climatica”, cambiando la policy delle grdandi aziende, pubbliche e private, r casncellazioni di norme e regole anticorruzione. In un reportage molto rigoroso e documentato l’Espresso (30.5.25) ci informa sulla svolta impressa da Donald Trump alla vigilanza e repressione della corruzione: un “liberi tutti” che lascia basiti. Con una serie di ordini esecutivi silenziosi ma dirompenti, l’amico americano ha avviato una sistematica demolizione delle principali normative anticorruzione e antiriciclaggio degli Stati Uniti, ridefinendo il rapporto tra potere politico e interessi economici su scala globale. Nel nome della “sovranità americana” e della “competitività”, l’ex presidente ha riscritto le regole per favorire apertamente le multinazionali, le grandi ricchezze e i paradisi fiscali. Ecco cosa è accaduto negli ultimi mesi:
Trump ha sospeso per decreto (Ordine Esecutivo 14209) l’applicazione del Foreign Corrupt Practices Act, la storica legge del 1977 che vietava il pagamento di tangenti da parte di aziende americane a funzionari stranieri. Formalmente la norma resta in vigore, ma ogni nuova indagine è congelata e soggetta all’approvazione personale del ministro della Giustizia. La giustificazione? Nessuna evidenza concreta: solo un generico richiamo al “danno competitivo” subito dalle imprese statunitensi.
È stata congelata anche l’applicazione del Corporate Transparency Act, norma fondamentale per identificare i titolari effettivi delle società anonime americane, spesso usate per occultare fondi illeciti in paradisi fiscali. Il provvedimento, firmato dal miliardario Scott Bessent, nuovo Segretario al Tesoro, cancella de facto ogni trasparenza per le società statunitensi.
Trump ha ritirato gli Stati Uniti dal Global Tax Deal dell’OCSE, che mirava a imporre un’aliquota minima del 15% ai colossi multinazionali. Il ritiro, motivato come “difesa della sovranità fiscale americana”, favorisce invece apertamente i paradisi fiscali e le strategie di elusione su larga scala.
Una misura chiave è stata il licenziamento del 38% degli ispettori fiscali che lavoravano su casi di evasione internazionale da decine o centinaia di milioni di dollari. Il taglio è avvenuto nell’ambito del progetto “Doge” – affidato ad Elon Musk – per la semplificazione amministrativa, ma ha in realtà paralizzato ogni attività ispettiva su grandi patrimoni.
La somma di questi interventi crea un sistema permissivo per eccellenza: le multinazionali sono autorizzate, nei fatti, a corrompere governi stranieri, evadere il fisco globale, riciclare fondi illeciti e usare società offshore senza alcun controllo. A pagarne il prezzo non sono solo la trasparenza e la legalità, ma anche la concorrenza leale: si favoriscono le imprese più disoneste, a scapito di quelle più innovative ed efficienti.
Dagli anni Settanta ad oggi, il FCPA aveva ispirato la Convenzione OCSE del 1997 e quella ONU del 2003 contro la corruzione. Trump non solo isola gli Stati Uniti da questo sistema multilaterale, ma lancia un segnale globale: chi ha mezzi e denaro, ora può comprare tutto, ovunque.
Quello tracciato da Trump è un ritorno aggressivo a un darwinismo economico senza etica, in cui la legalità è un ostacolo e non una garanzia. È un mondo in cui la corruzione non solo è tollerata, ma diventa strumento di politica economica estera. Un mondo in cui “fare l’America grande di nuovo” significa, semplicemente, renderla impunita.








