La BBC, che coltiva da sempre l’ideale di public service broadcasting e di distacco professionale, pretende che i suoi giornalisti si astengano dall’occuparsi di questioni sulle quali abbiano opinioni, manifestate o meno. La richiesta, davvero inusitata, sarebbe illustrata in una lettera, che non è stata resa pubblica. Nel dibattito sulla neutralità e l’imparzialità dell’informazione, Aldo Grasso in un corsivo del Corriere della Sera riflette su un tema. (obiettività e indipendenza dei giornalisti) che tocca un nervo scoperto della nostra contemporaneità mediatica. Un giornalista, per essere “adatto” a condurre un programma informativo, dovrebbe aver taciuto ogni opinione pregressa: sembra più un esercizio di censura preventiva che una garanzia di qualità.
“Se un giornalista non ha mai espresso opinioni, significa che non ha opinioni, o che non è informato, o che… non ha mai fatto scelte etiche ma solo anestetiche.”, osserva Grasso. In un tempo in cui la sovraesposizione opinionistica può anestetizzare il senso critico, la risposta non può essere la sterilizzazione delle idee, ma la loro messa in forma etica, consapevole, responsabile.”
Un giornalismo che abdica all’onesta interpretazione dei fatti smette di essere uno strumento di conoscenza e diventa un esercizio liturgico, ripetitivo, senza carne. E in Italia, questo bivio è diventato uno spartiacque: da una parte, la narrazione militante travestita da cronaca; dall’altra, l’autocensura dell’apparente equilibrio, che rinuncia a chiamare le cose col loro nome per non “sembrare di parte”.
Il problema non è che i giornali abbiano un punto di vista – il problema è quando quel punto di vista si traduce in una costruzione della realtà selettiva e faziosa, dove ciò che non serve a corroborare una tesi viene sistematicamente espunto. Vi sono quotidiani e telegiornali che non informano più, ma si limitano a confermare ciò che il loro pubblico vuole sentirsi dire. È il trionfo della “confirmation bias” travestita da linea editoriale.
Il giornalista deve avere opinioni, riconoscerle, dichiararle se serve, e metterle a confronto con i fatti. Come diceva George Orwell: “Il giornalismo consiste nel pubblicare ciò che qualcuno non vuole che si pubblichi; tutto il resto è pubbliche relazioni.” L’indipendenza non è mai neutra. È tensione costante, sforzo culturale, esercizio di libertà interiore.
In Italia siamo forse a un punto di non ritorno? Forse. Ma proprio per questo l’idea di una informazione che cerca la verità – non l’equidistanza – diventa oggi un atto rivoluzionario. Il pluralismo non è la somma di tanti silenzi impauriti, ma il confronto tra visioni forti, ancorate ai fatti. L’ideologia soggioga quando si presenta come dogma. L’interpretazione onesta, invece, emancipa: perché non teme la contraddizione, ma la abita. Scrivere secondo un punto di vista non è il contrario della verità: è il modo più libero – per avvicinarsi ad essa.








