Appena dieci mesi or sono le basi americane in Italia, gestite in Virginia o altrove, sotto il controllo unico, di fatto, degli Stati Uniti, operavano nell’ambito dell’Alleanza Atlantica. Questo, e nient’altro, giustificava un trattato di sudditanza strategico-tattica e in Italia, e il rischio in caso di conflitto o interventi in paesi terzi (Medio Oriente, area sud-est Mediterraneo) di diventare un bersaglio del nemico “adottato” a nostra insaputa.
Ma è cambiato tutto: gli Stati Uniti sono virtualmente usciti dalla Nato ed intrattengono relazioni privilegiate con la Russia, la cui storica avversione è stata la ragione stessa dell’esistenza della Nato. Non c’è un formale abbandono degli Usa, ma l’exit strategy è in atto, innegabile, e l’ha suggellata l’acquisto di armi dagli USA per aiutare l’Ucraina invasa dai russi.
Francesi, tedeschi ed inglesi hanno pianificato iniziative ed interventi di emergenza per sostituire l’ombrello Nato, su cui non si può più contare. L’America tratta in solitudine, talvolta contro gli interessi europei, ed appare tesa a indebolire in modo significativo l’UE, che considera il suo competitor, al pari della Russia di Putin. L’Italia sta nel guado, in ossequio alla ambivalenza del governo, che al suo vertice, con Meloni, viaggia nello strapuntino della Casa Bianca.
Dopo avere preteso dai Paesi Nato l’acquisto di armi statunitensi con un innalzamento della spesa militare pari al 5% del PIL, una enormità per l’Italia a scapito del welfare, e avere costretto i Paesi europei a acquistare armi per tenere in piedi la deterrenza ucraina, Donald Trump volta le spalle agli storici alleati con stupefacente non chalance. Un tradimento, che passa quasi inosservato, grazie a quei governi, come quello italiano ed ungherese, che non sembrano affatto sentirsi traditi dagli Stati Uniti, anzi. L’Ungheria del putiniano Orban abiura alla sua storica rivolta contro i carri armati russi, l’Italia cancella settanta anni di difesa aggressiva dell’atlantismo nella Penisola (tentati golpe, terrorismo, fattore K ecc).
Le recenti esternazioni del Ministro della Difesa, Crosetto, sulla fragilità militare dell’Italia, priva dell’ombrello Nato, hanno posto una questione che nessuno solleva (nemmeno la Premier Meloni, silente). Gli Usa mantengono basi americane in Italia, il cui rilievo strategico è ben noto, e costituisce un segmento della forza USA, utilizzata ampiamente in questi mesi per avere ragione su tutte i dossier aperti in politica estera e commerci. Accanto alla base di Aviano nel Nord, c’è Sigonella e Niscemi in Sicilia, un aeroporto operativo di grande efficienza tattica e la Stazione Radar che sorveglia e indirizza le operazioni militari statunitensi nell’area mediorientale e mediterranea.
La svolta di Trump cancella il bersaglio potenziale, la Russia; l’ormai probabile accordo fra Trump e Putin sulle risorse economiche e strategiche in Europa, posizionano il vecchio continente dall’altra parte della barricata. Gli europei piuttosto che i russi, sono il nemico; c’è perciò una anomalia grave su cui porre l’accento: le basi americane potrebbero operare operazioni belliche a danno dell’Europa e dell’Italia.
C’è da fidarsi del Presidente USA, così platealmente e nettamente maldisposto verso gli europei, al pari della Russia di Putin? La svolta e la inaffidabilità americana cancellano le ragioni politico-strategiche dei trattati stipulati negli anni cinquanta all’indomani della Liberazione e al tempo della cortina di ferro.
In una situazione normale, l’alleato che abbandona diverrebbe un ospite indesiderato. Le regole d’ingaggio delle basi operative in territorio italiano dovrebbero almeno essere rivisitate ed oggetto di trattativa, le regole d’ingaggio riscritte. Altrimenti quel che subiamo è una sudditanza passiva e pericolosa, sia in pace che in guerra: strumento a nostro sfavore in pace e bersaglio in caso di conflitto. Ci identifica come alleati, senza esserlo, e ci costringe ad avere in casa un potenziale avversario dei nostri interessi.