Il Ministro della Famiglia, Eugenia Roccella, ha lasciato irrisolto un enigma. Nel giorno in cui la Camera ha approvato il disegno di legge sull’introduzione dell’educazione affettiva nella scuola, a patto che i genitori degli alunni della scuola media diano il nulla osta (oggetto di forti critiche dell’opposizione), la Ministra Roccella ha riflettuto sul fenomeno del femminicidio, entrato nel dibattito parlamentare (86 le donne ammazzate nel corso dell’anno, ad oggi). “Ogni donna che viene uccisa è una di troppo”, ha affermato, e su questo non ci piove. Poi ha aggiunto: Ogni donna che non viene uccisa è un fatto positivo.
Che voleva dire?
Proviamo a fare qualche ipotesi.
Ci sono frasi che nascono già con il destino scritto: non essere comprese nemmeno da chi le pronuncia. La Ministra Roccella, nel giorno solenne in cui la Camera discuteva di educazione affettiva — previo nulla osta parentale, come se l’affettività fosse un vaccino sperimentale — ha consegnato al dibattito pubblico un piccolo koan, un enigma zen di marca governativa: «Ogni donna che non viene uccisa è un fatto positivo».
Lì per lì, più che un’affermazione sul femminicidio sembrava un aforisma maldestro; e molti, comprensibilmente, hanno sgranato gli occhi come si farebbe davanti a un oracolo di Delfi in preda al singhiozzo. Ma, nella tradizione ermeneutica più nobile — da Ermotimo a Umberto Eco, passando per le glosse medievali — tentiamo l’esercizio dell’interpretazione caritatevole. Forse la Ministra intendeva dire ciò che tutti dicono: che ogni donna che non viene uccisa è un fatto positivo. Una frase di limpida ovvietà, dove la tautologia non è un difetto ma un rifugio: dire l’ovvio, quando non si sa cosa dire, è sempre una scelta prudente. Che poi una parte della frase sia caduta sul selciato della sintassi, può capitare: la grammatica non sempre sopravvive all’enfasi politica. La Ministra ha chiarito senza chiarire: “Ogni donna uccisa è una vittima di troppo, ma ogni donna che viveva una situazione di rischio e invece è riuscita a uscire dalla violenza è una vita salvata e un passo avanti in questa battaglia”. Alla fine, forse la Ministra voleva dire una cosa sola, semplicissima:“Ogni donna viva è un bene”. Ed è già triste che, nel 2025, serva un’ermeneutica d’autore per arrivarci. O la conseguenza di un lapsus freudiano da manuale: voler affermare qualcosa di sacrosanto, ma lasciar emergere l’imbarazzo di un Governo che, pur condannando il femminicidio, si oppone sistematicamente a qualunque riforma strutturale che ne tocchi le radici culturali: c. Il risultato è dunque una frase a metà; come a metà rimangono le politiche.
Se davvero esiste un enigma, esso non riguarda solo la frase: riguarda il paradosso di una politica che denuncia i femminicidi ma, nel medesimo respiro, tratta l’educazione affettiva come un intruso da controllare col permesso dei genitori; una politica che piange le vittime ma teme di nominare le cause. Una politica che volge le spalle alla realtà, che non si fida della scuola e dei suoi docenti, e si affida di fatto al web, il maestro dei nostri ragazzi. Bene fidarsi della scuola ma… meglio non fidarsi.







