Autonomia diferenziata, la Chiesa cattolica italiana fa politica. In prima linea

Luca Diotallevi si chiede sul Foglio “se nel cattolicesimo italiano sia in corso qualcosa di molto simile a un cambio di paradigma, un cambiamento che in modo nuovo mescola “vecchio” e “nuovo” manifestando così consistenza e radici”. Gli indizi abbonderebbero, secondo Diotallevi. Uno dei più nitidi sarebbe la opposizione radicale dei vescovi italiani alla proposta di autonomia differenziata avanzata dal governo. Il cattolici, insomma, non vogliono starsene a guardare, ma intendono esercitare il diritto di partecipare alle scelte politiche senza preoccuparsi delle innterferenze e della diplomazia comunicazionale. Appare utile, al di là delle opinioni sulla svolta, indubbiamente reale, ricordare le posizionin politiche asunte dalla Chiesa cattolica italiana dal dopoguerra ad oggi.
L’evoluzione delle posizioni della Chiesa cattolica italiana nell’era della Repubblica ha attraversato diverse fasi, segnate dai cambiamenti sociali, politici e culturali del paese. L’esperienza del cattolicesimo in Italia è stata influenzata da una complessa relazione con lo Stato italiano, e l’intervento del clero nelle questioni pubbliche ha spesso generato dibattiti accesi. Ciò he avvienne in questi giorni, dunque, non è affatto una novità, scandalizzarsi delle interferenze è pura ipocrisia.
Con la fine della Seconda Guerra Mondiale e la nascita della Repubblica Italiana nel 1946, la Chiesa cattolica dovette riorientare il proprio ruolo nel contesto di un nuovo assetto istituzionale. Il Concordato stipulato tra la Santa Sede e il regime fascista nel 1929 rimase in vigore, consolidando la posizione privilegiata della Chiesa nelle questioni civili, ad esempio nella regolamentazione del matrimonio e dell’insegnamento religioso nelle scuole.
Nel contesto delle elezioni politiche del 1948, la Chiesa svolse un ruolo cruciale, appoggiando apertamente la Democrazia Cristiana (DC) come baluardo contro il comunismo. Papa Pio XII incoraggiò i cattolici italiani a opporsi al Fronte Popolare, composto dal Partito Comunista Italiano (PCI) e dal Partito Socialista Italiano (PSI). La DC ottenne una schiacciante vittoria, con il supporto dei cattolici, confermando il ruolo centrale della Chiesa nella vita politica della nuova Repubblica.
Gli anni Sessanta segnarono un periodo di profonda trasformazione per la Chiesa, soprattutto con l’indizione del Concilio Vaticano II da parte di Papa Giovanni XXIII (1958-1963). Il Concilio promosse un dialogo più aperto con il mondo moderno e cercò di avvicinare la Chiesa ai fedeli, con un’attenzione particolare alla giustizia sociale e ai diritti umani. In Italia, questa nuova visione ebbe ripercussioni anche sul ruolo della Chiesa nelle questioni politiche. La gerarchia ecclesiastica cominciò a ridurre il suo intervento diretto nelle scelte partitiche, pur mantenendo un’influenza morale sui temi sociali ed etici. L’enciclica Pacem in Terris (1963) di Giovanni XXIII fu un esempio di come la Chiesa iniziò a farsi promotrice di valori universali come la pace, la giustizia e i diritti umani, allontanandosi dalle logiche politiche di partito.
Negli anni Settanta, la Chiesa italiana si trovò a confrontarsi con una società sempre più secolarizzata. Le battaglie civili legate al divorzio e all’aborto rappresentarono momenti chiave del dibattito pubblico in Italia. Nel 1974, la Chiesa si oppose fermamente al referendum sul divorzio, ma la sconfitta del fronte contrario dimostrò la crescente autonomia della società italiana rispetto alle direttive ecclesiastiche.
Un caso simile si ripeté nel 1981 con il referendum sull’aborto. Anche in questo caso, la Chiesa sostenne il fronte contrario, ma la maggioranza degli italiani votò a favore del mantenimento della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. Questi eventi segnarono una crisi di legittimità per la Chiesa come guida morale della nazione, rivelando una crescente distanza tra i valori ecclesiastici e quelli della società italiana.
Nel 1984, il Concordato tra Italia e Chiesa cattolica fu rivisto, modificando la relazione tra Stato e Chiesa. Il nuovo accordo, stipulato durante il governo di Bettino Craxi, eliminò la religione cattolica come religione di Stato e introdusse il principio della parità tra le confessioni religiose. Questo cambiamento rappresentò una svolta significativa, in quanto riconobbe formalmente il carattere pluralista della società italiana, pur garantendo alla Chiesa un ruolo di rilievo, ad esempio attraverso il finanziamento dell’8×1000.
Con la fine della Democrazia Cristiana nei primi anni Novanta, la Chiesa si trovò a dover ridefinire il proprio ruolo nella politica italiana. L’implosione della DC segnò la fine di un’era in cui il cattolicesimo aveva un legame diretto con un partito politico egemone. A partire dagli anni Novanta, la Chiesa italiana si concentrò più sulle questioni etiche e sociali, come la difesa della vita e della famiglia, piuttosto che su alleanze politiche specifiche.
Nel corso degli anni Duemila, sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, la Chiesa italiana mantenne una forte presa sulle questioni bioetiche come la procreazione assistita, l’eutanasia e la sperimentazione sugli embrioni, e continuò a difendere i valori tradizionali della famiglia. Il Family Day del 2007, ad esempio, fu un’importante manifestazione in cui la Chiesa e movimenti cattolici si schierarono contro il progetto di legge sui diritti delle coppie di fatto.
Con l’avvento di Papa Francesco (dal 2013), la Chiesa ha posto un forte accento sulle questioni sociali, economiche e ambientali, con particolare attenzione ai migranti e alla giustizia sociale. Francesco ha promosso un modello di Chiesa più inclusiva e impegnata nel dialogo con il mondo contemporaneo. In Italia, questa visione si è riflessa in un maggiore intervento della Chiesa su questioni come l’accoglienza dei migranti e il contrasto alle disuguaglianze sociali, a volte in aperta critica nei confronti delle politiche governative.
Un caso recente, come suggerito da Luca Diotallevi, riguarda la posizione della Chiesa italiana sull’autonomia differenziata. Questo tema vede una parte del mondo cattolico opporsi alle proposte di frammentazione delle competenze regionali, in quanto ritenute potenzialmente divisive per il paese e dannose per i principi di solidarietà e unità nazionale. L’intervento dei vescovi su queste tematiche dimostra come la Chiesa non abbia rinunciato al proprio ruolo di attore sociale e politico, pur senza allinearsi a specifici schieramenti politici.
L’evoluzione della Chiesa cattolica italiana nella Repubblica, inn dfinnitiva, è stata caratterizzata da una costante tensione tra la difesa dei propri valori e la necessità di adattarsi ai cambiamenti della società. Dalla stretta alleanza con la Democrazia Cristiana nel dopoguerra, passando per le battaglie civili degli anni Settanta, fino alle questioni bioetiche e sociali contemporanee, la Chiesa ha cercato di rimanere un punto di riferimento morale, pur senza evitare le sfide e le contraddizioni di una società sempre più secolarizzata e pluralista.

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