Siamo nell’aula del tribunale, dove si celebra il processo a Adamo, Eva e il Serpente. Un evento epocale. Parlano il rappresentante dell’accusa e i difensori degli imputati, si leggono testimonianze autorevoli, seppure datate. Considerando che Eva ha agito sotto l’influenza del serpente, a sentire la difesa, il giudice dovrebbe tenere conto che ha agito per istigazione di un terzo. La richiesta di pena potrebbe essere attenuata, una condanna simbolica o una messa alla prova. In alternativa, la difesa potrebbe richiede il non luogo a procedere per mancanza di una figura giuridica superiore definita da un’autorità statale umana, sottolineando che la trasgressione di Eva non si riferisce a un reato punibile secondo la giurisdizione italiana moderna. Infine, il peccato-reato dovrebbe considerarsi abbondantemente prescritto. La morale comune oggi è un’altra: nessuno si scandalizza se si disobbedisce al Padreterno.
Sul conto di Adamo potremmo formulare l’accusa come complicità nella disobbedienza, richiamando l’Articolo 110 del Codice Penale italiano, che prevede la responsabilità di chiunque partecipi alla commissione di un reato. Adamo ha partecipato in modo consapevole all’azione di disobbedienza contro un’autorità superiore. Adamo ha accettato di mangiare il frutto dopo che Eva gliel’ha offerto, dimostrando complicità e mancanza di resistenza morale. La formula usata dalla pubblica accusa è perciò inequivocabile: “L’imputato Adamo è accusato del reato di complicità nella disobbedienza, per aver partecipato volontariamente a un atto di ribellione contro un’autorità superiore, con la piena consapevolezza delle conseguenze morali e materiali dell’azione intrapresa.” Tuttavia non è stato lui ad agire per primo, sottolinea la difesa, piuttosto ha seguito l’azione di Eva. Adamo merita l’assoluzione per mancanza di prove sufficienti che dimostrino un’intenzione dolosa autonoma. In alternativa, qualora si decidesse per la condanna per complicità nell’atto, Adamo potrebbe essere considerato colpevole, ma con una pena attenuata per via della sua posizione di “secondario” nel reato. La pena potrebbe essere simbolica, simile a quella di Eva, o risolversi in una richiesta di condotta correttiva.
Il Serpente? Gli è stato assegnato un difensore d’ufficio, perché non ne aveva alcuno o nessuno si è assunto l’onere. L’avvocato d’ufficio fa scena muta, si limita ad appellarsi alla clemenza deli giudici. Non sembra nutrire alcuna simpatia per il suo assistito.
La pubblica accusa verso il Serpente ò altrettanto dura: il Serpente è l’istigatore primario dell’intera azione, avendo convinto Eva a disobbedire, portando successivamente alla complicità di Adamo, ed avrebbe quindi agito con dolo e manipolazione, rendendo Eva vittima delle sue influenze. Merita una condanna esemplare come istigatore primario del reato, il principale responsabile della caduta morale e dell’induzione alla disobbedienza di entrambi gli imputati. “Il soggetto denominato Serpente è accusato di induzione e istigazione alla disobbedienza, avendo influenzato Eva con il chiaro intento di indurre entrambi gli imputati alla disobbedienza contro un’autorità superiore. Con piena consapevolezza delle conseguenze, il Serpente ha agito come manipolatore primario, senza riguardo per il danno che ciò avrebbe causato.”
Il tribunale deve raggiungere un verdetto sulla base di indizi e testimonianze. Non bastano le arringhe, ammettono in. Giudizio Accusa e difesa dispongono di pareri documentati, che vengono vagliati alla stregua di testimonianze presentate dalle parti processuali. Søren Kierkegaard, filosofo danese, vede la storia di Adamo ed Eva come una metafora dell’angoscia e della libertà umana. L’atto di mangiare il frutto proibito simboleggia l’entrata nella libertà, in cui l’essere umano deve fare i conti con la responsabilità morale e la consapevolezza delle proprie scelte. Per Jean-Paul Sartre, Adamo ed Eva scelgono di vivere secondo la loro volontà, accettando le conseguenze delle loro azioni. Sigmund Freud che la disobbedienza di Adamo ed Eva potrebbe essere vista come l’atto di seguire le proprie pulsioni di base e affrontare le conseguenze di esso. Carl Gustav Jung considera Adamo ed Eva come figure simboliche rappresentative dell’inizio della coscienza umana.
Per Simone de Beauvoir Eva come la causa della caduta porta un fardello di colpevolezza che è stato traslato su tutte le donne, giustificandone la subalternità. John Milton dipinge il peccato originale come un dramma interiore di tentazione e redenzione, esprimendo il conflitto tra obbedienza e libero arbitrio. Erich Fromm considera la “caduta” come un passaggio positivo dall’innocenza alla consapevolezza; l’umanità guadagna la propria indipendenza.
Nelle testimonianze prodotte dall’accusa la disubbidienza è peccato, non crimine. Tertulliano, teologo cristiano del II secolo, sostiene che Eva sia la causa della tentazione e la radice del peccato umano. Agostino d’Ippona attribuisc la responsabilità del peccato a entrambi, avallando la visione di Eva come colei che ha introdotto il peccato, il punto di partenza della disobbedienza che porta alla necessità della redenzione. Per Phyllis Trible, teologa femminista, non giudica Eva colpevole più di Adamo, entrambi hanno agito come esploratori della conoscenza, piuttosto che come peccatori.
Adamo ne esce male dalla escussione delle testimonianza: deve trovarsi sul banco degli imputati, poiché, è lui il responsabile principale: come capofamiglia, avrebbe dovuto opporsi al peccato e rifiutare il frutto che Eva gli ha offerto. Inoltre, nell’interpretazione tradizionale cristiana, la responsabilità del peccato si estende a tutti i discendenti di Adamo. Friedrich Nietzsche si assegna il ruolo di accusatore di Adamo, considerandolo simbolo di un’umanità debole e sottomessa che ha accettato il frutto senza esercitare la propria volontà. Per il filosofo Paul Ricoeur: Adamo è il portatore di una colpa universale e rappresenta una sorta di fallimento morale che tutti gli esseri umani condividono. Per Karl Barth, teologo cristiano, corregge entrambi: il serpente come fonte del male.
Mark Twain, tuttavia, con la confessione di Adamo, contenuta nel suo Diario di Adamo ed Eva, induce un nuovo elemento. “Sapevo che cosa significava: Eva aveva mangiato. Quel frutto e la morte era entrata nel mondo”. La consapevolezza della gravità del gesto e l’ammisssione di colpa entrano nel processo: un colpo di scena o meglio an coup de theatre. Siamo all’epilogo, comunque. La verità di un tribunale è determinata da indizi, prove, fatti prodotti durante il dibattimento, non altro. E’ una verità processuale:
- Eva: Assolta con la possibilità di una messa alla prova simbolica per esaminare il ruolo dell’influenza esterna nella sua scelta.
- Adamo: Assolto per insufficienza di prove di dolo autonomo, ma responsabile come complice secondario.
- Serpente: Colpevole come istigatore principale, con condanna esemplare.
Prevedibile un ricorso, suggerito da un palese conflitto d’interesse. I giudici, assolvendo Adamo ed Eva, assolvono l’umanità, cioè se stessi. In caso di accoglienza dei ricorsi, il processo dovrebbe essere celebrato in un grado di giudizio più alto.
Il Giudice Ultimo.