Gli ortodossi in Israele vogliono l’annientamento dei palestinesi: sono la falange di destra estrema La candela di Benjamin Netanyahu, detto Bibi, si sarebbe spenta, altrimenti, per ragioni politiche, giudiziarie e di umanità. L’slam reazionario iraniano, nemico d’Israele, è uno stato teologico, che ha una ambizione: annientare gli ebrei. E poi c’è la faida religiosa, nel mondo arabo, fra sunniti e sciiti. E’ una guerra di religione, dunque, quella che si combatte in Medio Oriente? No, non lo è per tanti. Un mascheramento, dunque? Sarebbe imprudente sostenerlo, perché gli ayatollah iraniani da una parte e gli ortodossi israeliani dall’altra usano l’arma del credo religioso….
Il conflitto in Medio Oriente ha radici storiche profonde, ma oggi è plasmato e alimentato da ideologie religiose radicalizzate e da interessi politici. Si mescolano aspirazioni nazionaliste, ambizioni territoriali, e conflitti settari, mentre sullo sfondo persiste la questione mai risolta tra israeliani e palestinesi. Da un lato, l’ala ortodossa israeliana ha guadagnato una crescente influenza politica, divenendo parte integrante della strategia di Benjamin Netanyahu, per mantenere il potere. Le sue manovre politiche sembravano destinate al fallimento a causa delle accuse di corruzione e della crescente polarizzazione all’interno di Israele. Tuttavia, il supporto dei gruppi religiosi di estrema destra ha tenuto accesa la sua candela politica.
Netanyahu è stato abile nel cooptare l’ultradestra religiosa, che vede l’annientamento o l’espulsione dei palestinesi come un passaggio necessario per la sicurezza e la purezza di Israele. Figure come Itamar Ben-Gvir, leader di Otzma Yehudit, incarnano questa tendenza: Ben-Gvir non ha mai nascosto la sua ammirazione per Meir Kahane, un rabbino estremista che predicava la violenza contro gli arabi.
Allo stesso tempo, dall’altra parte del confine, il regime iraniano mantiene il proprio potere alimentando una retorica aggressiva contro Israele. L’Iran, stato teocratico sotto la guida del Supremo Ayatollah Ali Khamenei, finanzia e sostiene gruppi come Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza, usando la questione palestinese per legittimare le proprie ambizioni regionali. Il regime iraniano si presenta come il difensore dell’Islam contro l’oppressione occidentale e sionista, ma dietro questa facciata religiosa si nasconde un gioco geopolitico per estendere la propria influenza su tutto il Medio Oriente.La religione è senza dubbio un potente strumento di mobilitazione, viene utilizzata come arma per mascherare motivazioni ben più terrene: il controllo territoriale, l’influenza politica, e la supremazia regionale.
La divisione tra sunniti e sciiti è un altro elemento. L’Arabia Saudita, paese a maggioranza sunnita, vede nell’Iran sciita un nemico esistenziale e ha stabilito un’alleanza tacita con Israele contro il comune avversario. Recentemente, l’Arabia Saudita e Israele hanno iniziato un dialogo informale, motivato dalla paura condivisa di un Iran nuclearizzato. Mentre da una parte assistiamo alla retorica religiosa, dall’altra registriamo un pragmatismo geopolitico che unisce gli ex nemici in alleanze di convenienza.
In definitiva, il conflitto mediorientale non è una guerra di religione, bensì una guerra che utilizza la religione come strumento di legittimazione per agende politiche. I leader, da Netanyahu agli ayatollah, sono abili nel manipolare la fede e la paura per giustificare il proprio operato. E mentre le fiamme del fondamentalismo continuano a divampare, a pagarne il prezzo più alto sono, come sempre, i civili, vittime di sanguinosi combattimenti, e costretti a vivere in un perpetuo stato di insicurezza.