I giapponesi si scusano, gli italiani vanno dall’avvocato. E affollano i tribunali

In Italia, ogni anno si registrano circa il doppio delle cause civili rispetto al Giappone, un dato che apre inevitabilmente una riflessione sulla natura della giustizia e del carattere nazionale. La macchina giudiziaria italiana è rallentata da un’incredibile mole di cause arretrate: la giustizia civile, infatti, risente di una cronica inefficienza, è lenta, e si stima che i processi pendenti sono centinaia di migliaia.

A prima vista, il confronto con il Giappone potrebbe sembrare curioso: un Paese con una popolazione doppia rispetto a quella italiana conta meno della metà degli avvocati italiani. Nel Paese del Sol Levante, il numero degli avvocati non supera infatti le 50.000 unità, contro le oltre 240.000 in Italia. Ma ciò che colpisce ancor di più è il numero nettamente inferiore di cause giudiziarie che vengono avviate in Giappone. Come spiegare questo fenomeno?

Le ragioni di questa differenza non risiedono solo nell’organizzazione del sistema legale, ma in un aspetto forse a torto trascurato: la cultura del conflitto e della sua risoluzione. In Italia, la tendenza a ricorrere alla giustizia per qualsiasi tipo di controversia – anche le più banali – è radicata e diffusa. Al contrario, in Giappone, le controversie sono spesso risolte fuori dal tribunale.

Una delle chiavi di questo approccio sta in una pratica profondamente radicata nella cultura giapponese: la capacità di ammettere le proprie colpe, chiedere scusa e trovare una soluzione condivisa. La mediazione, introdotta in Italia, attraverso regole e norme di legge, si è rivelata un bluff, o quasi, mentre la naturale consuetudine alla mediazione dei giapponesi ha esercitato un ruolo di calmierazione dei conflitti.

Il concetto di “scuse reciproche”, che a noi può suscitare qualche sorriso, ha un peso rilevante nel contesto giapponese. L’ammissione degli errori e l’offerta di scuse sincere è vista come un segno di responsabilità e onore. In Italia, invece, il “chiedere scusa” è spesso percepito come una forma di sconfitta o debolezza. Questo porta a una maggiore inclinazione alla difesa ostinata delle proprie posizioni, spesso con l’intervento di legali, anche quando il dialogo o la mediazione potrebbero risolvere la questione molto prima.

 Anche il ruolo del sistema legale ha la sua parte di responsabilità. stesso. In Italia, la diffusa pratica di adire le vie legali è spesso incentivata da un sistema complesso e macchinoso, che non sempre facilita soluzioni rapide ed efficienti. I lunghi tempi di attesa per una sentenza definitiva e l’incertezza delle decisioni alimentano un clima di sfiducia verso la giustizia, ma allo stesso tempo non scoraggiano il ricorso al tribunale come mezzo di risoluzione delle controversie.

Nel contesto italiano, l’abbondanza di avvocati sembra giocare un ruolo cruciale. Con un numero così elevato di professionisti legali, la litigiosità è quasi diventata una parte integrante del tessuto sociale. I costi relativamente bassi e la facilità di accesso alla giustizia civile spingono molte persone a portare avanti cause che, in altri Paesi, verrebbero risolte con un semplice accordo privato o una mediazione.

 Il risultato è una vera e propria “montagna” di cause civili che soffoca il sistema giudiziario italiano. Secondo dati recenti, le cause civili in Italia possono durare in media fino a 7-8 anni per arrivare a una sentenza definitiva, con casi estremi che superano anche i 10 anni. Questo crea un enorme danno non solo economico, ma anche sociale, facendo perdere ai cittadini fiducia nella giustizia.

Le riforme messe in campo negli ultimi anni hanno cercato di snellire il processo, introdurre sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, come la mediazione e la conciliazione, ma senza successo. Il problema, infatti, non sembra risiedere solo nel sistema legale, ma in una questione più profonda di carattere culturale.

 La riforma della giustizia in Italia dovrebbe essere accompagnata da una rivoluzione comportamentale. Se i giapponesi, con la loro abitudine a risolvere i problemi prima di arrivare in tribunale, possono contare su un sistema giuridico snello ed efficiente, è anche perché hanno una cultura della responsabilità personale. Chiedere scusa e ammettere un errore non è visto come una sconfitta, ma come il primo passo verso la risoluzione del problema. Non si tratta di imporre un cambiamento dall’alto, ma di promuovere un cambiamento nella mentalità comune. Se gli italiani imparassero a dialogare, a scusarsi e a trovare soluzioni condivise prima di rivolgersi alla giustizia, il sistema ne trarrebbe un enorme beneficio. Educare i cittadini a una nuova mentalità, che promuova il dialogo e la risoluzione pacifica delle controversie, potrebbe essere la chiave per scalare quella montagna di cause arretrate che, ad oggi, rappresenta una delle sfide del nostro sistema giudiziario.

 

 

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