Il pragmatismo come alibi per ogni scorreria. Come salvarsi dai furbi

L’arte di fare quel che è meglio nel contesto dato o strumento per tirare a campare e alibi per ogni astuzia, scorreria, intrigo: il pragmatismo sano e quello strumentale brandito da personaggi senza scrupoli convivono nella governance delle istituzioni, restando all’incrocio di ogni decisione, dalla più rilevante a quella marginale sempre al centro della scena. E’ possibile riconoscerne vera natura  attraverso comportamenti, attitudini, consuetudini, linguaggio? Esistono segnali che avvertano sulla filosofia e la prassi di chi lo adotta e ne fa mostra, come una qualità?

Il pragmatismo, inteso come l’arte di adattarsi alle circostanze e di trovare soluzioni efficaci, può essere osservato in due forme distinte: una positiva e costruttiva, e una strumentale e opportunistica. Da un lato, il pragmatismo sano si manifesta nella capacità di agire con flessibilità e concretezza, concentrandosi sull’obiettivo finale e ottimizzando le risorse disponibili senza perdere di vista principi etici o finalità di lungo termine. Dall’altro lato, un pragmatismo strumentale può essere adottato per giustificare comportamenti disinvolti, manipolativi o addirittura illegali, quando la logica dell’utile personale o di gruppo prevale su ogni considerazione morale o collettiva.

 Il pragmatismo sano si distingue per la sua relazione con l’etica e la trasparenza. I suoi segnali distintivi sono osservabili nei comportamenti e nel linguaggio. Chi lo pratica agisce con senso di responsabilità, consapevole delle conseguenze delle proprie azioni su un contesto più ampio, sia istituzionale che sociale. Una persona pragmaticamente sana cerca soluzioni che, seppure dettate da necessità immediate, mantengano un equilibrio tra l’efficienza e il rispetto delle regole condivise.

Nelle istituzioni, questo approccio si rivela quando le decisioni, anche se prese in situazioni di emergenza o incertezza, seguono una logica di miglioramento sistemico, mirando a un beneficio collettivo. Le decisioni vengono spiegate in modo chiaro e razionale, con un linguaggio che non evita le difficoltà ma le affronta in modo onesto. Un tratto caratteristico è l’apertura al confronto: chi pratica un pragmatismo sano accetta le critiche, risponde alle domande e ammette eventuali errori.

 Di contro, il pragmatismo strumentale si nutre di ambiguità e di scelte opportunistiche. Uno degli abiti mentali più comuni è l’attitudine a cercare il consenso popolare, senza preoccuparsi dell’efficacia o della reale possibilità di ciò che promette, inividuare il nemico da combattere an he quando non c’è, crearlo addirittura per distrarre l’attenzione da ciò che va esplorato, controllato, indagato, realizzato. Si chiama populismo e fa il paio con il sovranismo, che fa credere nella possibilità di far prevalere il proprio interesse (regionale, nazionale) in un mondo globalizzato e iperconnesso al quale non è possibile sfuggire.

La soluzione migliore non è quella che porta al miglioramento complessivo, ma quella che garantisce il vantaggio immediato di chi prende la decisione. Nei contesti istituzionali, questo tipo di pragmatismo tende a mascherarsi dietro la retorica dell’urgenza o della necessità: si presentano le soluzioni come inevitabili, celando i veri obiettivi, spesso particolaristici, dietro una facciata di efficienza. I segnali rivelatori sono molteplici: un uso del linguaggio vago o eccessivamente tecnico, l’assenza di responsabilità chiare, la tendenza a presentare le opzioni come “scelte obbligate”.

Nel pragmatismo strumentale, chi lo adotta evita il confronto diretto, si trincera dietro procedure formali che diventano strumenti per sviare le critiche o per manipolare il discorso pubblico. Le decisioni sembrano rispondere a ragioni di convenienza più che a un’autentica ricerca del bene comune.

 

Il pragmatismo costruttivo è orientato a soluzioni che possono essere condivise, aperte al controllo pubblico, e il cui fine è il miglioramento o il mantenimento di un equilibrio. È presente una tensione positiva verso il bene collettivo, che sopravvive anche nei contesti più difficili. Il pragmatismo strumentale, al contrario, si muove nella direzione dell’opacità e del vantaggio privato. Le decisioni sono spesso orientate al breve termine, e i processi decisionali appaiono dominati da una logica di esclusione piuttosto che di inclusione.

Riconoscere i segni di questi due modi di agire richiede un’analisi non solo dei risultati ma dei processi decisionali e del linguaggio. Il pragmatismo sano si accompagna sempre a un’etica della responsabilità, mentre quello strumentale tradisce un uso strumentale dell’azione, dove l’abilità retorica e politica diventa un alibi per mascherare fini non dichiarati.

 

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