Matteo Salvini, il capostazione. Dal Papete a Mosca, Mar-a-lago e poi…

O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
la nave ha superato ogni ostacolo, l’ambìto premio è conquistato,
vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
occhi seguono l’invitto scafo, la nave arcigna e intrepida…

I versi di Walt Whitman “O Capitano! Mio Capitano!” (1865) divenuti celebri per la citazione nello stupendo film “L’attimo fuggente” (1989), mi tornano malauguratamente in mente – e deve essere una punizione divina – ogni volta che sulla cronaca politica Matteo Salvini viene evocato come il “capitano”, termine usato (delittuosamente) come un sinonimo. Questo accostamento, del quale è impossibile on sentirsi in colpa, ha scavato nella mia anima partigiana un abisso di pregiudizi verso il Vice Presidente del Consiglio e leader della Lega. Altrimenti non ci sarebbero scusanti per il mio sentimento di gratitudine verso Diego Bianchi, firma del Venerdì di Repubblica, autore di un articolo che ha un titolo, “Il capostazione che ci tocca”, dedicato, per l’appunto a Matteo Salvini.

Matteo capostazione, con tutto il rispetto per i capostazione, viene degradato sul campo, e si èe perso tanto tempo perché ciò avvenisse, dal momento che il grado capitano di cui si è appropriato Salvini, Walt Whitman l’ha assegnato ad Abramo Lincoln, assassinato con un colpo di pistola mentre assisteva a uno spettacolo teatrale. Che Salvini avesse poco in comune con il Presidente USA, che pagò per avere liberato dalla schiavitù gli africani deportati in America, e ancor meno con l’attimo fuggente di Robin Williams, non ci sono dubbi di sorta.

Ciò che però gli rende merito (imperituro), è il resto: Bianchi legge il recente messaggio-appello rivolto da Salvini alla nazione in occasione della festa dedicata ai nonni su X, e prova un doloroso senso di colpa. Perché non ci ho pensato anch’io? “Ho avuto la fortuna di conoscere tutti e quattro i miei nonni…i miei angeli custodi, scrive Salvini. Se potete, chiamateli i vostri nonni e fate sentire il vostro affetto, perché i nonni sono la vita.

Bianchi espia l’omissione attraverso una pubblica ammissione;  pagata la colpa, esce tuttavia dallo scoramento, grazie a una foto del capostazione accanto ai nonni: la madre (credo) che tiene in braccio il Salvini pargolo, ancora innocente e ignaro del fatto che un giorno non si sarebbe fatto scrupolo nell’usare il se stesso pargolo e i suoi quattro nonni nel disperato tentativo di tamponare, almeno nel magico mondo dei social, la millesima figura di m. della sua vita da adulto (nel testo si legge l’originale, haimé, merda)

La celebrazione della nonnitudine, che pienamente giustifica i toni severi di Bianchi, è una delle stazioni nelle quali il capostazione, ormai capostazione, ferma il treno del consenso per farsi applaudire dalla pletora di followers che coltiva nel mondo digitale. Le fermate sono celebri: Città del Vaticano, il Papete, Mosca, Mar-a-lago; la paletta alzata e l’altra mano con il rosario o il costumino da bagno e uno sculettamento veloce, per la terza o una T-shirt che inneggia a Putin e Trump.

Ve la sentite di immaginare il Padreterno che sale sul treno di qualcuno che lascia in mare una folla di sventurati per impedire che la patria sia invasa? O Putin che gli regala un lettone e l’accoglie al Cremlino? O Trump che gli presenta la sua Melanija?

I binari scorrono paralleli senza convergere su alcuna delle sue palette. Il viaggio, tremendo, non termina mai, l’ambito premio non si lascia conquistare, l’ostacolo on è mai ultimo, il popolo non esulta più. Camaleontico, funambolo, prigioniero della sua immagine, Matteo Salvini va forse tirato fuori dalla calca che confonde, trascura, intruppa. La politica ha i suoi vezzi, i suoi vizi (capitali), le allergie, le ipocrisie e tutto il resto, ma lui è “altro” per una misteriosa magia; gli si farebbe torto a lasciarlo nella folla. E’ il più lesto, il più conformista e il più diverso, l’onesto lazzarone, il conformista rivoluzionario, il passatista moderno, la copia sbiadita, eppur vivida, del patriota risorgimentale, lo scissionista che si è fatto garante della nazione italica. Ha situato Pontida sulle rive del Moscova, Via Bellerio a Mar-a-lago e tanto altro. Sempre in viaggio, mai uguale a se stesso, gli occhi che seguono  l’invitto scafo, la nave arcigna e intrepida, il vicino porto. Il jocker, il mattacchione e l’incubo, il fantasma, l’ologramma che materializza ogni senso di colpa, nostro e altrui

 

 

 

Segui Salvatore Parlagreco su: