Più galera equivale a più sicurezza? L’equazione del populismo penale

Negli ultimi due anni, con il centrodestra al governo, si sono moltiplicate le normative che criminalizzano le manifestazioni, gli scioperi e le proteste di piazza, in una deriva pericolosa che rischia di limitare le libertà civili. La protesta, pilastro di ogni democrazia, viene vista con sospetto, e rispondere con la repressione appare più semplice che affrontare le cause profonde del malcontento sociale.Il populismo penale ha raggiunto una meritata notorietà, perché si è rivelato, fra i tanti populismi in progress, quello che ottiene pù consenso e in tempi assai corti. Quando si sente il suono delle catene, la nostra immaginazione galoppa, e si sogna, da svegli, file di delinquenti con le manette ai polsi, magari secondo le regole di Alcatraz e Sing-Sing, le pregioni americane più celebri.

Tutto si compie nella nostra mente, ma questo non cambia le cose di una virgola Il valore di deterrenza immaginato dai populisti rimane intatto, come la distribuzione di dividendi cospicui, in termini di consensi, ai governanti. Sarebbe tuttavia imprudente pensare che a nutrirsi di sogni ad occhi aperti siano solo i creduloni. Il populismo penale attecchisce anche fra uomini e donne carichi di cultura e competenze, affascinati dal ruolo salvifico delle nerbate al viso, della paura da infliggere agli spiriti irrequieti e ed ai mascalzoni, tutti irredimibili ovviamente. La signora Montessori ha cambiato la pedagogia, forse un po’ la scuola, di sicuro ha rovinato l’immagine delle pene afflittive di più non poteva fare. Lo schiaffetto, quando ci vuole, resta una opzione he può contare su un robusto tallone d’Achille In territorio penale, si ragiona in termini di anni di galera, promessi e non mantenuti peraltro. Una presa per i fondelli, come tante altre.

 Il populismo penale, che cosa è e perché sta prendendo piede? E’ una novità, oppure la coda velenosa di un antico vezzo, tutto italiano, secondo il quale il migliore modo per farsi amici nell’elettorato è regalare nuovi reati e aumenti di pena, puntando sulla paura? Proviamo a rispondere a questi quesiti.

Il populismo penale è un fenomeno che si manifesta nella promessa, da parte di alcune forze politiche, di rispondere ai problemi della società attraverso il rafforzamento delle sanzioni penali. Questa tendenza è caratterizzata dall’introduzione di nuovi reati, dall’aumento delle pene per quelli già esistenti e dalla semplificazione dei processi giudiziari per assicurare una risposta rapida e severa alle richieste di sicurezza e giustizia dell’elettorato. Il messaggio che viene veicolato è semplice: più galera equivale a più sicurezza, una formula che, almeno a livello retorico, sembra riscuotere un ampio consenso.

Ma il populismo penale non è un’invenzione moderna, bensì il ritorno di una vecchia dinamica che trova radici profonde nella tradizione politica e culturale italiana. Sin dai tempi del fascismo, lo Stato italiano ha flirtato con l’idea che l’ordine pubblico si potesse preservare principalmente attraverso la repressione, e questo ha creato un fertile terreno per il riaffiorare di tali pulsioni in momenti di crisi sociale o politica. Negli ultimi decenni, la crescita dell’insicurezza percepita e la spettacolarizzazione del crimine sui media hanno ulteriormente alimentato la richiesta di soluzioni immediate e repressive.

La novità del fenomeno contemporaneo, tuttavia, risiede nella sua capacità di penetrare non solo tra le fasce meno istruite della popolazione, ma anche tra persone colte e competenti, che finiscono per accettare una visione punitiva come garanzia di stabilità sociale. L’idea della punizione come mezzo di redenzione e controllo dei “mascalzoni” sembra rispondere a una esigenza profonda di sicurezza e ordine, che trascende il semplice ragionamento giuridico. Si tratta di una semplificazione pericolosa, perché trascura il fatto che l’inasprimento delle pene non porta automaticamente a una riduzione dei reati o a un miglioramento della giustizia, ma finisce spesso per tradursi in promesse non mantenute, con pene severe che rimangono sulla carta, mentre il sistema penitenziario si affolla di detenuti.

 Il populismo penale ha raggiunto una visibilità crescente, prospera in tempi rapidi, perché tocca corde profonde: la paura del crimine, l’illusione che la giustizia penale sia la via maestra per ristabilire l’ordine, e la sensazione che punire più severamente i colpevoli rappresenti una vittoria morale.o del “rigore” e della “tolleranza zero” i loro cavalli di battaglia, che alimentano fantasie punitive.Il vero pericolo, però, sta nel fatto che il populismo penale tende a scivolare verso l’autoritario, specie quando le nuove leggi penali non si limitano a colpire i reati tradizionali, ma estendono la loro portata a comportamenti che rientrano nella sfera del dissenso e della protesta sociale

In Italia, ma non solo, si sono approvate leggi che colpiscono chi organizza manifestazioni non autorizzate, chi blocca le strade o chi semplicemente esprime il proprio dissenso in modo ritenuto “pericoloso” per l’ordine pubblico. Queste leggi, spesso nate sotto la spinta di eventi di cronaca particolarmente violenti o di disordini pubblici, finiscono per minare il diritto costituzionale alla libertà di espressione e di manifestazione.

Un esempio recente è l’introduzione di norme che puniscono severamente i blocchi stradali, utilizzati spesso dai movimenti ambientalisti per richiamare l’attenzione sulle questioni climatiche. Allo stesso modo, gli scioperi e le occupazioni di edifici pubblici o privati vengono trattati sempre più spesso come atti criminali piuttosto che come legittime forme di protesta politica e sociale. Questo tipo di interventi normativi segna una preoccupante deriva autoritaria, mascherata da esigenze di sicurezza, che rischia di soffocare il dibattito democratico.

 Le radici del populismo penale vanno rintracciate nella storia dei sistemi giuridici occidentali, dove il diritto penale è stato spesso utilizzato come strumento di controllo sociale. Tuttavia, è solo negli ultimi decenni che questo fenomeno ha assunto una dimensione così rilevante, grazie alla combinazione di fattori quali la globalizzazione, l’insicurezza economica e l’aumento dell’immigrazione. Questi elementi hanno generato un clima di paura e incertezza, che ha spinto una parte significativa dell’elettorato a cercare soluzioni immediate, capaci di ristabilire un ordine percepito come perduto. Il populismo penale sfrutta abilmente questo contesto, proponendo una giustizia retributiva e punitiva come via principale per risolvere i problemi della società. I media, con la loro enfasi su fatti di cronaca nera e casi di devianza, alimentano questa narrazione, contribuendo a creare l’impressione che il crimine sia in costante aumento, anche quando le statistiche raccontano una realtà diversa.

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