Elon Musk mira al cuore dell’Europa. “Olaf Sholz è uno scemo”, biglietto da visita dell’amministrazione Trump

Il primo vagito dell’amministrazione Trump, da una “pancia” gravida di attese, è venuto dal neo ministro con delega alle galassie Elon Musk (copyright di Massimo Gramellini, Corriere della Sera). Un insulto, non un indirizzo di “saluto”, rivolto al capo di governo di una nazione amica degli Usa, la Germania, Olaf Scholz. «Olaf ist ein Narr» (Olaf è uno scemo). La voce è digitata, il mezzo scelto da Elon Musk, è X, (una volta twitter, celebre cinguettio), social di sua proprietà. Omesso il cognome, il Primo Ministro tedesco è stato ribattezzato come Olaf lo stupido. Da ora in poi, insomma, l’accenno a Olaf dovrebbe bastare per farsi un’idea della persona con cui si ha a che fare. Con un colpo solo, una sola pallottola, più bersagli andati a segno: l’uomo più ricco del mondo, il super genius, come lo definisce Trump, pistolero provetto, ha liquidato la insopportabile Germania, sdoganato il turpiloquio dal vocabolario delle relazioni internazionali, la buona educazione ,le faticose perifrasi e metafore per tacciare di idiozia il prossimo, che sono una inutile perdita di tempo. Colti alla sprovvista o desiderosi di ottenere una bolla di conferma, in tanti hanno chiesto se l’Olaf in questione fosse Sholz, e il super genius per nulla imbarazzato, anzi, ha confermato, attraverso gli emogji, le faccine.

E’ vero, Elon Musk non rappresenta ancora formalmente la casa regnante USA, è “solo” un quasi ministro, una eminenza grigia, come si diceva un tempo, ma a giudicare dalle aspettative e dall’aura che lo circonda, dalle promesse e dalle risorse spese nella campagna elettorale, è come se si fosse insediato nello studio ovale del Presidente e ne avesse preso possesso.

Il primo atto dell’amministrazione Trump, la sua scandalosa apertura in mondovisione, è stata delegata alla tastiera del suo fedelissimo Elon Musk, l’uomo cui il presidente ha affidato la semplificazione e le “galassie”; una delega estesa, sembra, tanto alle sfere celesti quanto a quelle geopolitiche. Il primo atto segna una nuova era per la politica americana, nella quale i confini tra istituzione e spettacolo si confonderanno con pericolosa naturalezza.

Musk non è il presidente, eppure la sua influenza è tale da far pensare che lo sia. I media, del resto, stanno già raccontando questa “doppia presidenza” come un tandem di carisma e arroganza, una polarità che mette di fronte l’uomo più potente del mondo e quello più ricco. Trump e Musk, con visioni simili sul ruolo degli Stati Uniti come “faro” dell’Occidente, sono uniti dall’intento di “scardinare le formalità,”, ognuno a modo suo: Musk con le battute taglienti e un’ironia dallo stile “high-tech”,  non senza conseguenze, Trump con la retorica impetuosa.

Dietro il sodalizio di facciata tra il magnate e il politico, emergono gli elementi di un possibile conflitto latente.  Dopo avere chiamato Zelensky ed avere scambiato con lui  le consuete frasi protocollari, Trump ha dato la parola a Musk, che era presente alla telefonata, e questi ha rassicurato il Presidente uctaino sul mantenimento della rete satellitare di sua proprietà in Ucraina. Un episodio che testimonia una stretta condivisione dei poteri. Se da un lato entrambi inseguono la stessa visione del mondo, è chiaro che l’autonomia e l’aura di “genio” che circondano Musk non potranno rimanere a lungo in secondo piano. Potrà il “super genius” accomodarsi a latere, senza rivendicare le sue priorità, le sue ragioni, la sua fetta di potere e riconoscimento istituzionale? Riuscirà a subordinarsi, apparire subordinato, mortificando l’istinto di leadership che lo guida da sempre?

Tutto lascia presagire una stagione di tensioni e colpi di scena. In bilico tra collaborazione e antagonismo, l’amministrazione Trump sembra destinata a riscrivere i canoni del rapporto tra potere politico e potere economico in un mondo dove i confini si fanno labili e l’influenza si misura anche in numero di “followers.” A giudicare da questo primo scambio “istituzionale” con la Germania, l’Europa stessa dovrà trovare una nuova postura per rapportarsi a questa “doppia leadership” americana, senza più il filtro delle consuetudini diplomatiche, ma direttamente con i tweet di Musk e le improvvisazioni di Trump. In questo scenario, resta solo da chiedersi quanto durerà questo patto non scritto tra due uomini dalle ambizioni così smisurate, e quanto a lungo l’opinione pubblica sarà disposta a tollerare l’intromissione di simili “personalità globali” nei complessi e delicati equilibri della politica mondiale.

 

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