I miracoli di Nino Ventimiglia, genio nel gioco delle tre carte, inteso The Donald

Nino “Trump” Ventimiglia era uno di quei personaggi che tutti conoscono in paese. Un uomo sveglio, astuto, con la parlantina sciolta, capace di tenere inchiodati i passanti con il gioco delle tre carte. La sua fama era cresciuta nei vicoli assolati di Sant’Agata Alta, un paesino siciliano di tremila anime. Ma l’incontro, seppur solo virtuale, con The Donald – come lo chiamava lui – aveva segnato un punto di svolta.

Passava le notti sui social a osservare video e discorsi dell’ex Presidente americano, imitando le smorfie, le mani alzate, il tono deciso. “Io sono come lui,” diceva tra sé, specchiandosi ogni tanto nelle vetrine delle botteghe chiuse a tarda notte. Da quel momento, cominciò a firmarsi “Nino Trump”, o semplicemente “il Trump di Sant’Agata”. Gli sembrava naturale: in fondo, chi mai avrebbe potuto fermarlo?

Così nacque la sua ambizione. Si sarebbe candidato a sindaco! Avrebbe portato il “grande sogno americano” nel suo piccolo regno siciliano. Parlava di “poter ridare al popolo ciò che era del popolo”, espressione rubata a qualche discorso d’oltreoceano. “Sotto la mia guida Sant’Agata rinascerà!” proclamava, assicurando che il suo piano era infallibile, benché nessuno sapesse quale fosse.

La sera prima delle elezioni, ebbe un sogno vivido: la piazza gremita, la gente che gridava il suo nome, bandiere con la sua faccia dappertutto. Aveva vinto, era sindaco! I suoi compaesani gli stringevano la mano, come se fosse il Messia tornato in paese. Ma all’improvviso, le urla si trasformarono in fischi. La folla, prima adorante, lo circondava minacciosa. Nino si guardò intorno, spaesato. “Traditore!” urlavano, “promesse vuote!”

Tornò a dormire e tornò a sognare. Stavolta si svegliò di soprassalto, sudato, nel suo letto sgangherato. Il giorno dopo, al seggio, non c’era la folla che immaginava, né i riflettori. Qualche ora più tardi, il verdetto: pochi voti, quasi nessuno l’aveva preso sul serio. Nino “Trump” si ritrovò di nuovo solo nella piazza, le carte da gioco tra le dita. Il “sogno americano” era rimasto tale, e pensò di fare ciò che sapeva fare meglio: illudere gli altri.

Il nuovo e definitivo risveglio lo colse nel suo letto circondato dai figli, tre quanto le carte, e  la moglie, che silenziosi lo osservavano. Nino Trump Ventimiglia se ne stette in silenzio, non chiese come fosse finita, sentì un vocio insistito di gente, senza però percepire una parola che fosse una. Allora sbottò con un tono che pareva quasi una invettiva. “Non sono Nino Trump”. E quelli lo guardarono delusi.

 

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