La verità è banale, ma nessuno si azzarda a evocarla, salterebbe il galateo ipocrita che regola le relazioni con stati senza leggi civili. Con la liberazione della giornalista italiana The Donald non c’entra nulla, a meno non si creda che il suo ruggito spaventi Teheran o gli sia stata richiesta il nulla osta allo scambio, cosa affatto commendevole. Con buona pace del sovranismo meloniano, mai tanto tradito. La coincidenza? Rilascio della giornalista il giorno dopo la visita a Mar à lago, è stata sfruttata con abilità volpina. L’accordo con Teheran poggia infatti su uno schema collaudato: tu rilasci l’ostaggio, io non dispongo l’estradizione negli Usa dell’ingegnere arrestato in Italia e accusato di concorso in terrorismo. Ce lo teniamo e poi si vede, quando i fari si spengono. Quel che appare strabiliante è la confezione del successo di Giorgia, costruito sul solito scambio – tu mi dai una cosa a me e io ti do una cosa a te – con i soliti scambisti.
Per comprendere appieno la dinamica dietro il rilascio della giornalista italiana da parte di Teheran, è essenziale scavare oltre la narrativa ufficiale, scardinando il velo di retorica che sovente accompagna episodi simili. Il contesto geopolitico, la realpolitik e le necessità di politica interna dei governi coinvolti delineano un quadro in cui ogni azione è calcolata e raramente frutto di coincidenze fortuite.
Il rilascio di ostaggi detenuti da regimi autoritari o in stati con sistemi giuridici lontani dagli standard occidentali segue da anni uno schema consolidato. L’apparente generosità del rilascio si rivela, in realtà, il frutto di accordi taciti, spesso al limite del compromesso morale, se non addirittura al di fuori di esso. Nel caso specifico, il legame tra il rilascio della giornalista italiana e la mancata estradizione negli Stati Uniti dell’ingegnere iraniano arrestato in Italia rappresenta l’ennesima conferma di un approccio basato sul pragmatismo, se non sull’opportunismo. L’Italia, evitando di consegnare l’ingegnere accusato di legami con attività terroristiche, consolida la propria posizione di “partner negoziatore” con Teheran, un ruolo che permette al governo di guadagnare credito politico sia interno che internazionale.
La politica italiana, in questa vicenda, ha adottato una strategia comunicativa mirata a presentare l’operazione come un trionfo personale e diplomatico del Primo Ministro. Tuttavia, è difficile ignorare come il rilascio sia stato sfruttato politicamente, con una tempistica che ha permesso al governo di enfatizzare il proprio ruolo centrale nella risoluzione di una crisi apparentemente complessa. La visita a Mar-a-Lago e il rilascio il giorno successivo sono coincidenze difficilmente attribuibili al caso. Se da un lato questo tempismo offre alla leadership italiana l’opportunità di rafforzare il consenso sovranista interno, dall’altro evidenzia un’attitudine a massimizzare ogni evento a fini propagandistici, anche laddove il merito operativo sia distribuito su più attori internazionali.
La gestione discreta di questa vicenda potrebbe suggerire l’intenzione di mantenere aperti canali di dialogo con Teheran per future negoziazioni, incluse questioni energetiche e commerciali. In definitiva, il successo diplomatico italiano appare costruito su un fragile equilibrio di compromessi e narrativa politica. La strategia comunicativa ha permesso di trasformare un episodio di realpolitik in una vittoria nazionale, ma resta da vedere quale sarà il costo a lungo termine in termini di credibilità internazionale e coerenza nelle alleanze strategiche.








