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La lunga ombra dell’espansionismo russo: un secolo di guerre rimosse

20/04/2025
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L’idea di una Russia pacifica, vittima perenne dell’aggressività occidentale, è una costruzione politica recente, alimentata dalla propaganda del Cremlino e accolta, talvolta acriticamente, in parte del dibattito europeo. Ma la storia, se letta con rigore, racconta altro: un secolo segnato da interventi armati, invasioni, repressioni e occupazioni, in nome dell’interesse strategico di Mosca.

L’elenco degli episodi è lungo e non comincia con l’Ucraina nel 2022. Il 17 settembre 1939, l’Armata Rossa invade la Polonia orientale in virtù del patto Molotov-Ribbentrop, spartendosi il paese con la Germania nazista. Pochi mesi dopo, nel novembre dello stesso anno, inizia la Guerra d’Inverno contro la Finlandia, in risposta al rifiuto di Helsinki di cedere territori strategici: un conflitto che costerà ai sovietici circa 126.000 morti.

Nel 1940, Estonia, Lettonia e Lituania vengono incorporate con la forza nell’Unione Sovietica, in violazione dei trattati internazionali e con l’appoggio di occupazioni militari mascherate da “protezione”. Il dopoguerra non modifica la tendenza. Quando l’Ungheria tenta di affrancarsi da Mosca nel 1956, l’Armata Rossa invade Budapest: oltre 2.500 morti. La stessa sorte tocca alla Cecoslovacchia nel 1968, con l’invasione che stronca la Primavera di Praga. In entrambi i casi, si agisce per “ristabilire l’ordine socialista” — un eufemismo per giustificare l’imposizione dell’obbedienza satellitare.

Nel 1979 inizia l’invasione dell’Afghanistan: nove anni di guerra, 15.000 soldati sovietici morti, oltre un milione di civili afghani uccisi. Un conflitto che avrà effetti duraturi sull’intero equilibrio del mondo islamico, favorendo l’ascesa del jihadismo anti-sovietico.

Negli anni successivi, la dissoluzione dell’URSS non segna la fine dell’interventismo russo. Due guerre devastano la Cecenia: nel 1994 e poi nel 1999. La seconda sarà condotta con ferocia estrema, includendo l’assedio di Grozny, definito dalle Nazioni Unite “la città più distrutta sulla Terra”.

Nel 2008, la Russia invade la Georgia, occupando le regioni separatiste di Abcasia e Ossezia del Sud. Nel 2014, la Crimea viene annessa illegalmente; il Donbass destabilizzato. Nel 2015, Mosca interviene militarmente in Siria a sostegno di Bashar al-Assad, bombardando anche postazioni civili. L’apice arriva nel 2022 con l’invasione su larga scala dell’Ucraina, giustificata con la denazificazione e la difesa del Donbass: motivazioni smentite dai crimini documentati e dal tentativo fallito di conquista totale.

A fronte di questa sequenza storica, le dichiarazioni del Ministro degli Esteri Lavrov, secondo cui “le guerre moderne sono solo responsabilità dell’Occidente”, appaiono più come proiezioni ideologiche che analisi storiche. Il passato recente dimostra che l’aggressività russa non è un’eccezione, ma una costante.

L’invasione come strumento geopolitico, la manipolazione della memoria come arma: è qui che si gioca la battaglia per il racconto della storia. Come ammoniva lo storico Timothy Snyder, “chi controlla il passato, controlla il futuro. E chi controlla il presente, controlla il passato”. Per questo, la Russia va misurata non sui suoi racconti, ma sui suoi atti. E questi atti parlano chiaro.

 

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Tags: AbcasiaaggressivitàCecoslovacchiaDonbassestoniafinlandiagroznylithuaniamanipolazioneMolotov-RibbentropOsseziaceceniarussiaTimothy Snyderucrainaungheria

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