Il Libro /Il giovane Holden e gli studenti americani di oggi

Su Robinson leggo il ritratto fatto da Matt Salinger, figlio della psicologa Alison Claire Douglas e di J.D. Salinger, l’autore del “Giovane Holden” , libro che ho appena ldivorato. Con grande diletto, dopo un inizio disastroso. Il primo impatto con quella scrittura così orale e approssimativa mi ha suscitato fepulsione, ma dopo le prime pagine, il tempo di acclimatarmi, tutto è cambiato. E quando ho finito di leggerlo,  ho provato perfino tenerezza verso quel ragazzo baciato dalla fortuna e così insofferente verso i riti del suo tempo. Forse perché mi piaceva pensare che Holden mi assomigliasse , una pretesa davvero senza capo né coda  per via delle fortune della famiglia Salinger e delle bevute apocalittiche del giovane Holden, estranee allla mka biografia.

Pubblicato per la prima volta nel 1951 con il titolo originale The Catcher in the Rye, Il giovane Holden è uno di quei romanzi che hanno saputo oltrepassare i confini della letteratura per diventare un simbolo culturale. Nella sua edizione italiana del 1970, curata con rara sensibilità da Adriana Motti per Einaudi, l’opera mantiene intatta la potenza espressiva dell’originale, restituendo la voce sconcertante e autentica del protagonista, Holden Caulfield.

Holden è il ragazzo che tutti, almeno una volta nella vita, si sono sentiti di essere. Con il suo linguaggio spezzato, sincopato, imbevuto di disagio esistenziale e rifiuto delle ipocrisie del mondo adulto, si pone come l’eroe tragico e incompreso di un’intera generazione postbellica americana. La sua ribellione non è ideologica, ma esistenziale: un rifiuto viscerale dell’artificio, della falsità (i “falsi”, i phonies) e di un mondo che lo delude costantemente.

Salinger, con Holden, fa sentire la voce di un’età spesso ignorata o stereotipata. E proprio in questo risiede la forza dirompente del libro: dare dignità letteraria alla confusione, alla rabbia e alla tenerezza di chi cerca di capire sé stesso.

Holden Caulfield fugge dalla scuola, diserta l’autorità, rifiuta i riti dell’integrazione. Eppure, paradossalmente, è figlio di un mondo che ancora credeva nella possibilità della disobbedienza. Oggi, nelle grandi università americane, la figura di Holden sarebbe forse guardata con diffidenza. Troppo bianco, troppo maschio, troppo borghese, troppo “problematico” per entrare nel pantheon della nuova sensibilità studentesca.

Le università americane sono diventate negli ultimi anni campi di battaglia simbolici, terreno di scontro fra libertà d’espressione e censura, fra giustizia sociale e populismo autoritario. Gli editti dell’era Trump – dai tagli ai fondi per i campus progressisti alle pressioni su università considerate troppo “woke” – hanno reso ancora più fragile lo spazio di autonomia critica che un tempo apparteneva al mondo accademico.

A differenza di Holden, gli studenti di oggi spesso non rifiutano il sistema: lo vogliono cambiare da dentro. La loro rabbia è organizzata, espressa con la lingua delle petizioni, delle assemblee, dei comunicati collettivi. Hanno imparato a costruire identità non per negazione, ma per affermazione: queer, neri, latini, figli di immigrati, eco-attivisti, anticapitalisti, e ogni combinazione intersezionale possibile.

Il giovane Holden si aggira spaesato tra musei e stazioni, schiva le etichette, non sa chi è. I giovani di oggi, invece, spesso esigono di essere riconosciuti per chi sono. E questa è forse la differenza più profonda. Holden fugge dal mondo per non farsi etichettare; loro chiedono al mondo di riconoscere e rispettare le etichette che scelgono.

Eppure, una forma di malinconica parentela resta. Anche gli studenti americani del 2025 – incerti, precarizzati, iperconnessi ma isolati, schiacciati da algoritmi e rendiconti emotivi – cercano una voce che li racconti con sincerità. Forse non sarà mai più Il giovane Holden, ma la sua domanda – “Dove vanno le anatre d’inverno?” – continua a risuonare in chi, nel pieno della propria giovinezza, cerca ancora un posto che non sia phony, falso.

In Robinson di Repubblica (25.5.25), Matt Salinger, figlio di J.D.Salinger, l’autore del libro, traccia il ritratto del padre, che sorprende perché smentisce il carattere chiuso e impenetrabile che gli è stato affibbiato. “Il suo desiderio di privacy, spiega Matt,  si è trasformato in qualcosa che non andava bene. Così è diventato il “recluso”, quello “ritirato”, l’“eremita” o quello “notoriamente privato”. Come se ci fosse qualcosa di contorto o sbagliato o irresponsabile. Hanno dato alla gente l’impressione sbagliata. Era certamente più normale di così. Ha mantenuto amicizie per tutta la vita… Voleva solo starsene per conto suo, e vivere in modo semplice nella piccola cittadina tranquilla che aveva scelto per stare lontano dai riflettori.”

Il lettore attento del giovane Holden, tuttavia, non può avere abbbracciato lo stereotipo che è stato cucito addosso all’autore, tutt’altro che qualcosa di contorto o sbagliato.

(p.s. l’edizione sulla quale il libro è stato letto è la seguente: Il giovane Holden di J.D. Salinger Traduzione di Adriana Motti – Einaudi, 1970 – Lire 800)

 

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