Il piano di Donald Trump per la “pace eterna” tra israeliani e palestinesi porta con sé un paradosso strutturale: Hamas è l’interlocutore designato e, nello stesso tempo, il nemico da eliminare come precondizione a qualsiasi accordo. Un soggetto ridotto a spettro, reso indispensabile e al contempo incompatibile. Su questa contraddizione si regge l’intera architettura del progetto. Il dissenso di Hamas serve per uscire dall’isolamento, come ha spiegato Netaniahu. E proseguire il massacro.
Il resto discende con coerenza. I palestinesi, privati di rappresentanza, vengono esclusi dalla trattativa. Una “New Gaza” prende forma come protettorato sotto controllo tecnocratico. Le Nazioni Unite, custodi del diritto internazionale, sono espulse dal processo. Il riconoscimento dello Stato palestinese come terminale politico di una pace duratura è rimosso, anzi respinto apertamente da Netanyahu.
La proposta, definita dagli osservatori un “semilavorato”, è imposta più che negoziata: un ultimatum presentato come via obbligata. Non è certo che troverà applicazione, ma segna un passaggio storico. Il multilateralismo costruito con la Società delle Nazioni e consolidato dall’Onu è stato sepolto dai fatti e ridicolizzato dal suo maggiore azionista (per la scala che non funziona, il gobbo che scompare, e Macron fermato da un agente newyorkese mentre si dirige al Palazzo dell’ONU). La regolazione dei conflitti torna appannaggio di chi dispone di forza militare ed economica: Stati Uniti, Russia, Cina.
Israele affronta Hamas come se si trattasse di uno Stato ostile, e non di un’organizzazione terroristica: una guerra totale al posto di un’operazione di polizia. È lo stesso schema, rovesciato, applicato da Mosca in Ucraina: annessione mascherata da operazione speciale. Cinismo e miopia normalizzano la forza come unico criterio di diritto.
Sul piano simbolico, il colossale video con Trump proiettato tra grattacieli sulla costa palestinese resta sullo sfondo: descrive bene la natura del progetto, la sua utopia immobiliare, ispirata dalla Silicon Valley e piegata alla retorica Maga.
Ma dietro la messinscena, restano le contraddizioni pregiudiziali: un accordo che pretende di stabilire la pace, proponendo l’eliminazione dell’interlocutore a cui si rivolge, e registra il dissenso di principio della parte belligerante sulla nascita dello Stato palestinese, riconosciuto da 159 nazioni (senza l’Italia), cardine di ogni trattativa di pace.