Analizzando trascrizioni e video di discorsi pubblici di Meloni e Trump, si scopre che il Presidente degli USA, Donald Trump, e la Presidente del Consiglio italiana, Giorgia Melloni, condividono quasi tutto: gesti, pensieri, opere e parole. Più di quanto si creda.
Condividono l’uso di frasi slogan, sintesi concettuali forti e binarismi ideologici (es. “noi contro loro”). (es. “radici vs globalismo”). Entrambi i leader impiegano tecniche di delegittimazione dell’avversario: Trump preferisce espressioni grezze e dirette, Meloni opta per strutture più articolate, ma simili per funzione.Trump avversa l’establishment e le istituzioni internazionali, Meloni le ideologie “astratte” e i tecnocrati europei.
La narrazione del conflitto è centrale per entrambi, ma Meloni lo radica spesso in un contesto storico-culturale italiano. Trump eccelle nell’iperbole e nella drammatizzazione della crisi: “They are going to hell” (finiranno all’inferno, a proposito degli europei). Meloni, pur impiegando toni drammatici, modula l’intensità per mantenere coerenza con il ruolo istituzionale, non sempre ci riesce, tutt’altro. Il senso di emergenza è presente ma è incorniciato in chiavi nazional-identitarie, come il reciproco sovranismo, divisivo per sua natura, pretende.
Meloni mostra maggiore controllo nel ritmo discorsivo: alterna pausa e crescendo per enfatizzare concetti chiave. Trump si affida maggiormente alla spontaneità e alla rottura del copione. Entrambi utilizzano gesti ampi e strategici, ma Meloni limita l’improvvisazione. Trump ricorre spesso all’ironia sarcastica contro oppositori e giornalisti. Meloni usa ironia leggera e allusiva, ma anche sarcasmo duro.. Entrambi concludono i loro discorsi con affermazioni di forza e legittimità: Trump con aggressività, Meloni con autorevolezza istituzionale . L’imprinting resta aggressivo e, talvolta, perfino violento anche nella Premier.
In definitiva Meloni riprende molte delle tecniche populiste di Trump ma le adatta al contesto italiano ed europeo, con maggiore apparente equilibrio tra retorica e istituzionalità. La sua comunicazione è meno estrema sul piano formale ma altrettanto efficace e violenta nel costruire consenso polarizzanti.
Il confronto suggerisce un modello ibrido di leadership populista: assertiva ma compatibile con le forme tradizionali. La base comune del populismo non permette distinzioni , sono speculari: contenuti politici pressocché identici, le parole e i gesti affini, modelli retorici ricorrenti, uso dell’urgenza, polarizzazione semantica, contrapposizione al sistema, incisività retorica, gestualità enfatizzante, pausa ritmica, rottura del copione, ironia, chiusura con autorità.
Il “noi” e “loro” restano il suggello di ogni discorso pubblico. La Premier italiana è rimasta il leader del suo partito “d’opposizione”, Trump parla agli americani che l’hanno votato, gli altri non lo interessano come interlocutori. Meloni, dal cango suo, non “sente” di rappresentare il popolo italiano, come pretenderebbe la sua responsabilità di governo. La sua è una scelta consapevole, non solo il lascito di una lunga permanenza all’opposizione, ed in ciò la sua adesione al “modello Trump” appare perfetta. Il Presidente USA dice di “odiare” tutti i suoi avversari, Meloni si rifiuta di rappresentare coloro che non stanno dalla sua parte, si rivolge alla sua famiglia politica ed ai “patrioti”. Sono entrambi divisivi, mancano di empatia relazionale, emotiva ed istituzionale.
Il voto in pagella? Tocca agli elettori assegnarlo, alla resa dei conti.