La politica estera italiana sembra un tavolo di prestigiazione all’ora di punta: tre carte in movimento, il pubblico che osserva, e un banco che non svela mai dove sta il re di cuori. Tra Gaza, Ucraina, Bruxelles e Washington, il governo appare più impegnato a dosare simpatia e calcolo che a tracciare una rotta stabile.
Nella politica estera italiana domina l’arte dell’equilibrismo. Meloni, Salvini e Tajani maneggiano dossier delicati come carte di un mazzo, oscillando fra Europa, Trump, Netanyahu e Putin. Meloni, Salvini e Tajani si muovono fra Gaza, Kiev, Bruxelles e Washington con la destrezza – e i rischi – di chi deve tenere il banco senza mai scoprire del tutto le proprie intenzioni.
Meloni recita in doppia lingua. A Bruxelles si propone come partner affidabile, conquistando un posto nel “governo” di Ursula per assicurare a Fitto la poltrona di commissario. Ma nel retropalco non rinuncia all’abbraccio con l’amico americano, Trump, che considera l’Europa un avversario commerciale e strizza l’occhio a Putin. Sul conflitto in Medio Oriente, la premier dosa condanne e solidarietà, attenta a non alienarsi Washington e Gerusalemme. Salvini, come sempre, gioca d’istinto. Va in Israele, si fa fotografare mentre abbraccia Netanyahu e lo invita in Italia, sapendo che pende un mandato della Corte penale internazionale. Con Mosca il leader leghista è lineare: “nessun problema”, la minaccia arriva da sud, non da est. Tajani sceglie il ruolo di equilibrista sobrio. Europeista in salsa tedesca, preferisce restare nel cono d’ombra dei popolari e muoversi solo quando l’inerzia non basta più.
Si corre però un rischio serio: il Paese, oscillando fra fedeltà atlantica, simpatia trumpiana, aperture a Netanyahu e indulgenze putiniane, rischia di perdere fiducia e considerazione, di non contare niente, proprio mentre i conflitti – da Gaza all’Ucraina – ridisegnano la sicurezza del continente. L’Italia appare affidabile a giorni alterni, e nei consessi internazionali la reputazione non è un gettone da puntare e ritirare a piacere.
In politica estera il banco non è sempre “a favore della casa”: se si sbaglia mossa, il conto arriva in fretta. E allora il gioco delle tre carte, se ti…giochi la fiducia dei partner, può trasformarsi in una perdita secca per l’intero Paese.