La libertà che viene rivendicata dal mondo Maga- Silicone Valley- Trump, e dalle dai suoi propagini in Europa, con l’Italia in prima linea, è quella dei più forti – alto quoziente intellettivo, produttività – ed ha come obiettivi la ricchezza e il potere al di fuori della giurisdizione. Le regole sono ostacoli, i valori, l’etica, l’uguaglianza un virus mentale, retaggio di un illuminismo oscuro. E’ il Nuovo Medio Evo, disegnato, nero su bianco in documenti che negli Stati Uniti sono la nuova Bibbia della tecnologia uber alles, sopra ogni cosa.
La libertà senza libertà è chiamata “pillola rossa”, una medicina virtuale che predica l’abbandono dei valsi valori, giudicati “un virus mentale”. E’ ispirata dalle Fondazioni culturali americane, a loro volta finanziate dai padroni della comunicazione e dei big data, come Heritage, la più attiva fonte di finanziamento e di elaborazione strategica (Project 2025, Project Esther) sul fronte dell’indottrinamento e l’arruolamento delle aree amiche, tutte di estrema destra. L’amministrazione Trump è impegnata nella azione di smantellamento dello Stato di diritto e delle democrazie occidentali giudicate relitti del passato, trovando ascolto in Ungheria, Repubblica Ceca, Spagna, Francia e Italia.
Com’è possibile declinare una libertà senza libertà?
La libertà non è una sola, sono tante, ma una libertà illiberale è un nonsenso, una contradizione in termini, un ossimoro, una provocazione: c’è infatti una libertà di pensiero, di parola e di scrittura, una libertà dal bisogno, una libertà di andare dove si vuole e di accogliere chi si vuole.
I modi d’intendere la libertà mutano con il tempo e con il luogo, perché le tradizioni, le abitudini, la cultura di un individuo o di un popolo cambiano e con essi muta l’idea stessa di libertà, ma non al punto di abiurare a se stessa. Nel suo sviluppo e concreta realizzazione c’è stata diversità di vedute: chi non ha il necessario per vivere a causa della sua povertà ritiene che la vera libertà sia quella di liberarsi dalla schiavitù del bisogno, che costringe a pietire del cibo o un tetto dove abitare; chi gode di un soddisfacente benessere pone al primo posto la libertà di manifestare le sue idee, o il diritto di essere giudicato da un tribunale prima di subire una pena.
Chi persegue la libertà individuale, sacrifica la libertà collettiva. La libertà dell’individuo è cosa diversa dalla libertà collettiva, regolata dallo Stato. La prima custodisce, anzitutto, il diritto della persona di professare una fede religiosa, militare in un partito politico o manifestare le proprie idee e scriverle; la seconda, invece, deve garantire l’uguaglianza dei cittadini, la priorità dell’interesse generale su quello del singolo e dei fini rispetto ai mezzi.
La libertà, infine, non è illimitata: perché un individuo possa averne per sé, deve concederla – nella stessa misura – agli altri. La libertà ha un limite invalicabile, non può invadere la libertà altrui, come vorrebbero i sacerdoti della libertà illiberale.
Ciò richiede una organizzazione delle libertà di tutti, in maniera che ad ognuno sia garantita la sua libertà in modo soddisfacente; quindi leggi, giudici, governo, bilanciamento dei poteri ecc.
Concetti semplici da enunciare, ma difficili da attuare.
Coloro che privilegiano l’uguaglianza finiscono con il sacrificare le libertà individuali; viceversa coloro che privilegiano i diritti individuali lo fanno a spese dell’uguaglianza. Come si può essere liberi, se non si è uguali? dicono questi ultimi. Come si può essere liberi, se non si consente di esprimere ad ognuno le proprie attitudini, le capacità, il genio e di trarre i benefici che spettano dalla qualità e quantità del lavoro che si svolge?
Lo Stato non può sacrificare la diversità per garantire l’uguaglianza: l’intelligenza, la volontà, l’abilità, la tenacia vanno stimolate e non scoraggiate; non si può impedire ad un individuo di trarre vantaggio dalle sue virtù, purché esse non ledano la libertà altrui.
Queste differenze di opinioni sul modo d’intendere la libertà e sul modo di regolare le libertà degli individui e le libertà collettive da un secolo costituiscono la causa principale di sanguinose repressioni, conflitti sociali e politici, persecuzioni e intolleranza.
Quando lo Stato sceglie di garantire l’uguaglianza, i cittadini non possono avere per sé nulla, i beni appartengono a tutti, cioè allo stesso Stato. A tutti e a nessuno.
Quando lo Stato sceglie di garantire la proprietà privata, i cittadini possono possedere beni, accumulare denaro, cioè capitale, ed investirlo. Se la proprietà dei beni è dello Stato, coloro che governano la cosa pubblica hanno un potere immenso, perché dispongono dei beni di tutti. Se la proprietà privata è consentita, coloro che possiedono beni e capitali li investono in imprese e accumulano ricchezza, grazie al lavoro di chi ha poco o niente.
La libertà sarebbe solo un’utopia, un sogno, una meta irraggiungibile?
La storia della civiltà segue il percorso della libertà. Gli uomini ne hanno avuta sempre di più, nonostante le insidie dei despoti e dei fanatici. Chi pretende la libertà assoluta – l’uguaglianza senza rinunce, il rispetto dell’individualità senza rinunce – sbaglia: la sua voglia di libertà poggia su basi di argilla. Il buon senso suggerisce invece la tolleranza, il sacrificio di qualcosa in cambio della più larga libertà possibile.
«Gli ideali hanno strane proprietà», osservò amaramente un grande scrittore austriaco, Robert Musil, «tra le altre, anche quella di trasformarsi nel loro contrario quando si vuole seguirli scrupolosamente», e per il proprio tornaconto, secondo l’ideologia del “quoziente intellettivo” e della società sregolata preda dei più forti. Nel XIX e nel XX secolo milioni di uomini sono stati imprigionati, torturati e uccisi in nome della libertà, così come in passato erano stati perseguitati e uccisi in nome della fede religiosa. La dottrina dei tecnopensatori americani voglio viene diffusa e imposta, con il web ed il potere, come una religione. E’ per questa regione che l’America di Trump vuole liberarsi dei “diversi” per fede e cultura e tradizioni.
La volontà di imporre la propria verità agli altri non è mai venuta meno, del resto. Le scomuniche religiose sono divenute, così, scomuniche politiche, le eresie della fede eresie dell’ideologia.
Gli uomini sembrano condannati alla intolleranza per l’incredibile ragione che ognuno ritiene di possedere la ricetta giusta per stare meglio in questo mondo. Un paradosso. Perfino coloro che conquistano, colonizzano, rapinano in nome della propria idea o della patria ci hanno fatto credere di essere nel giusto perché regalerebbero ai loro simili il benessere e la civiltà. Le buone idee e la coscienza religiosa, principi etici e solidarietà etniche sono stati usati spesso per fare prevalere il proprio interesse, il proprio punto di vista, o per mantenere ed allargare il potere a danno degli altri.
Nel XIX secolo alcuni popoli conquistarono l’indipendenza, altri cacciarono via il sovrano assoluto e la sua corte; la patria divenne di tutti, non solo del re e dei suoi baroni. Andava difesa al prezzo della vita. E con essa, i principi che la rendevano riconoscibile, in qualche modo unica. Morire per la patria significò morire per la libertà, la famiglia, i beni privati, i valori in cui si credeva. Tutto.
Ma i confini della patria, intangibili, alzarono nuove barriere fra gli uomini. I costumi ed i pensieri legittimi furono solo quelli nazionali, lo straniero divenne un potenziale nemico. La storia ricevette il compito di esaltare la patria e rafforzare la sua identità.
La conversione dell’idea di nazione e di patria in ideologia nazionalista avvenne nel XIX secolo: pretese il sacrificio della libertà, della solidarietà fra i popoli e la rinunzia alla diversità, che consente di utilizzare la ricchezza del pensiero umano. Il nazionalismo divorò tutto per alimentarsi: l’arte e la filosofia, le minoranze etniche e il dissenso politico.
Nel XX secolo il nazionalismo tedesco creò il mito della razza, un nazionalismo fascista italiano rinnovò il mito di Roma imperiale. L’idea di patria, in sé giusta e generosa, facilitò l’ascesa del dispotismo, rese le democrazie più rapaci e avide, facendo ripiombare il mondo nelle tenebre del fanatismo e dell’intolleranza.
I tribunali furono messi a guardia delle nazioni contro il dissenso interno, come cannoni d’artiglieria pronti a sterminare il nemico, in nome della ragion di Stato.
Ci fu chi ritenne, però, che non bastava cacciare re e cortigiani perché la patria fosse di tutti. La patria era passata di mano: dai nobili alla borghesia delle arti, della professione, del commercio e della finanza; di coloro che avevano beni e denaro da investire. Gli altri erano il popolo sfruttato: carne da macello in tempo di pace e in tempo di guerra. I diritti del popolo venivano negati allo stesso modo ovunque. La patria dei poveri e dei lavoratori sfruttati, perciò, non aveva frontiere. Era il luogo in cui il popolo, liberato dal bisogno, si prendeva le libertà che gli spettavano.
Chi riteneva che non si potesse tornare indietro, si è sbagliato. Oggi le libertà così duramente conquistate sono sotto attacco. Gli aggressori non si nascondono, hanno nomi e potere.





