Mr. Bannon, braccio destro e sinistro di Donald Trump al tempo del primo mandato presidenziale, a lungo domiciliato in Italia per farne una colonia americana, gongola forse nell’apprendere che il matrimonio fra Giuseppe Conte e Matteo Salvini, accompagnati all’altare di Palazzo Chigi (virtualmente), abbia lascito una innegabile eredità di affetti e sopravviva alla congiuntura del destino. In un momento topico della storia del mondo e, nel nostro piccolo, dell’Italia meloniana, i due leader del M5S e della Lega, hanno rappresentato qualche giorno fa la stessa voglia di trumpismo, mascherato o meno, suscitando malcelato stupore nel centrosinistra e malcelata irritazione nel centrodestra.
Mentre l’Europa esce dal torpore e dalle sue ambiguità e tenta di rispondere alle insolenze e alla dichiarazione di guerra del Presidente USA, Donald Trump, entrambi affidano la sorte del Vecchio Continente al “nemico”, che non fa mistero della sua inimicizia. Non ci sarebbe infatti alternativa, essi sostengono, alla visione affaristica e sovranista del mondo, alla scomposizione degli equilibri internazionali, alla resa senza condizione dell’Ucraina ed all’assegnazione delle spoglie all’America ed alla Russia, più che mai unite. Non è solo una dichiarazione di resa dell’Ucraina, ma la colonizzazione dell’Europa, l’abdicazione ad un destino di civiltà e indipendenza.
La militarizzazione del conflitto, usata dalla Casa Bianca per fare prevalere le ragioni della forza piuttosto che le regole del diritto internazionale e delle libertà dei popoli, è sottostante alla narrazione della ricerca della pace, di fatto il suo nascosto tradimento.
Bannon, padrino del patto Conte-Salvini, costituisce il filo conduttore di una antica ambizione di Trump, squadernare l’Unione Europea, scomporla in nuovi puzzle ininfluenti, e la testimonianza di una inaffidabilità (nel centrodestra e nel centrosinistra) di due schieramenti politici privi di un backstage ancorato a valori, principi non negoziabili, cultura e tradizioni legate ad una storia, ereditata, seppure diversamente declinata.
Il funerale delle ideologie, celebrato dalle chiese politiche, è diventato un formidabile strumento per giustificare un facile e comodo populismo che permette di inseguire i suoi dividendi alle urne, senza suscitare sensi di colpa.
Si può passare dal secessionismo al nazionalismo, alla chiusura delle frontiere, come ha fatto la Lega di Salvini; si può proclamare la guerra all’ultimo sangue alla partitocrazia (il vaffa rivoluzionario) e poi partecipare a tutti i governi (giallo-rosa, centro sinistra, di unità nazionale) senza imbarazzi, sbandierando le ragioni (contingenti) del popolo.
Bannon se la ride per le giravolte della strana coppia, Meloni un po’ meno, costretta a gestire anche la concorrenza di Salvini alla Corte di Trump, mentre l’Italia conferma una vecchia predilizione delle sue classi dirigenti all’ambiguità ed alla subalternità, lascito di un Paese allenato da secoli a ritagliarsi un pezzo della sua autonomia attraverso governi paralleli.
La storia ha la memoria lunga e non fa sconti, forse nulla esiste che non sia già esistito.






