Scuola, famiglia, regole, limiti. Cellulari, computer, social. Qual è l’humus, il contesto in cui si sviluppano le frustrazioni degli adolescenti, che si sentono soli vivendo con gli altri? Possiamo avere accanto il Nemico, il Mostro, senza averne alcuna percezione? La cronaca di questi giorni sembra darci la conferma. La strage del diciassette di Paderno Dugnano ci costringe a crederlo e impone un cambio di prospettiva: le emozioni hanno diritto di esistere. Quando le castriamo in nome del buonsenso, del quieto vivere, dell’educazione e delle gerarchie, familiari e non, le emozioni, represse, sviluppano frustrazioni, rabbia e quindi solitudine, la gabbia nella quale esplode la violenza e si materializza il Mostro. Che può avere la faccia dell’essere che più amiamo.
Le cronache recenti ci hanno scosso profondamente, costringendoci a riflettere su una realtà che spesso preferiamo ignorare. La tragedia del diciassette di Paderno Dugnano è un campanello d’allarme che ci obbliga a rivedere il nostro modo di intendere l’adolescenza, le relazioni familiari e il contesto in cui i giovani di oggi crescono e vivono. In un’epoca dominata dalla tecnologia, dai social media e da una costante connessione virtuale, i nostri ragazzi sembrano essere sempre più soli, anche quando circondati dagli altri.
Viviamo in una società in cui l’apparenza e il quieto vivere sono diventati priorità. I genitori, spesso inconsapevolmente, reprimono le emozioni dei figli, etichettandole come capricci, mancanza di rispetto o semplicemente come qualcosa da evitare per mantenere l’equilibrio familiare. Ma cosa accade quando queste emozioni, negate e represse, trovano uno sfogo diverso? Quando, per paura del conflitto, preferiamo non affrontare i problemi, questi si trasformano in frustrazioni, rabbia e, infine, in una solitudine che può risultare devastante.
L’adolescenza è un periodo di profondi cambiamenti, un terreno fertile per le emozioni più intense e contrastanti. In questo contesto, il ruolo della famiglia e della scuola è fondamentale, non solo come guide educative, ma soprattutto come punti di ascolto e comprensione. Troppo spesso, invece, imponiamo regole e limiti senza considerare il bisogno di espressione emotiva che i nostri ragazzi hanno. Gli strumenti digitali che dovrebbero facilitare la comunicazione, come cellulari e computer, finiscono per isolare ancora di più i giovani, creando una distanza emotiva che amplifica il loro senso di solitudine.
È in questo scenario che il “Mostro” può prendere forma. Non è un’entità esterna, ma un insieme di emozioni represse, di frustrazioni non ascoltate, di solitudine affollata. È il risultato di una comunicazione interrotta, di un’educazione che non dà spazio alle emozioni, in nome di un buonsenso che non considera il diritto di ogni individuo di essere ascoltato e compreso.
La tragedia di Paderno Dugnano ci impone un cambio di prospettiva. Dobbiamo riconoscere che le emozioni, anche quelle più scomode, hanno diritto di esistere. È necessario creare un ambiente in cui i giovani possano esprimersi senza paura di essere giudicati o repressi. Solo così possiamo sperare di prevenire la nascita di quel “Mostro” che, in silenzio, cresce dentro chi non riesce a trovare il proprio posto nel mondo.
La soluzione non risiede nel controllo ossessivo dei dispositivi elettronici o nella demonizzazione dei social media, ma nella riscoperta di una comunicazione autentica, nella capacità di ascoltare davvero i nostri figli, di comprendere le loro paure e i loro bisogni. La sfida è grande, ma necessaria: dobbiamo aprire le porte alle emozioni, affinché non diventino prigioni in cui l’adolescente, solo e disperato, perde il contatto con la realtà e con l’umanità che lo circonda.







