“Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”, Vecchio detto, andato in disuso, ma ben custodito nella teca delle regole non scritte da osservare quando attorno a noi la nebbia confonde i volti e le cose. Marcello Marchesi si spinge oltre: “Dimmi con chi vai e ti dirò se vengo anch’io.” Dove? Su questa domanda si concentra l’interesse degli italiani all’indomani della visita di Giorgia Meloni a Mr Trump. Ripassando le sequenze dell’incontro alla Casa Bianca, ciò che emerge è una volontà della Premier di rimanere attaccata al carro sovranista, in linea di principio. Possiamo rendere l’Occidente grande di nuovo”, ha affermato Giorgia Meloni, adottando integralmente lo slogan suprematista trumpiano. Significa che il mood americano sarà l’abito che l’Italia dovrà indossare e che l’Italia si adopererà che anche l’Europa faccia lo stesso?
L’incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump, oltre la superficie levigata dei sorrisi e delle dichiarazioni di circostanza, può essere letto come una prefigurazione: l’inizio di una mutazione. Se l’Italia dovesse adottare il “modello Trump” non solo nei proclami, ma nella prassi istituzionale e politica, il cambiamento non sarebbe solo stilistico. Sarebbe sistemico. Ecco che cosa potrebbe accadere
- Lo spoil system integrale
Via direttori generali, capi dipartimento, ambasciatori, vertici di enti pubblici e partecipate. Ogni tornata elettorale diventa un reset dell’amministrazione. La fedeltà politica soppianta la competenza. Ogni istituzione diventa una propaggine del governo in carica, alimentando la polarizzazione e l’instabilità. - Decreto legge come norma ordinaria
Come Trump ha usato l’emergenza per governare per ordini esecutivi, così in Italia: lo stato di crisi (economica, migratoria, energetica, culturale) diventa permanente. Il Parlamento viene aggirato. I decreti diventano l’unico strumento legislativo, “giustificati” da urgenze create ad arte. - La guerra contro la stampa
I media critici vengono delegittimati sistematicamente. Nascita di una rete mediatica “affiliata”, che diffonde narrazioni alternative, teoricamente “anti-sistema”, in realtà al servizio del potere. Cresce l’influenza di opinionisti militanti e influencer politici. I giornalisti scomodi vengono etichettati come “nemici del popolo”. - Nazionalismo performativo e nemici interni
Il discorso politico si struttura attorno a un “noi” identitario e a una costellazione di “loro” da combattere: migranti, intellettuali, ambientalisti, giudici, ONG, UE, e chiunque si opponga. Il patriottismo diventa un dogma obbligatorio. Il dissenso è visto come tradimento. - Giustizia e intelligence piegate all’esecutivo
Attacchi sistematici alla magistratura. Nomine strategiche negli apparati di sicurezza. Le procure più scomode vengono isolate. I servizi segreti diventano strumenti di controllo più che di difesa. L’effetto è la progressiva demolizione dell’equilibrio tra i poteri. - La religione come veicolo ideologico
La fede diventa arredo istituzionale. Riti, simboli, dichiarazioni pubbliche usati per costruire un’identità unica e intransigente. Il pluralismo religioso si trasforma in tolleranza condizionata. La laicità è indebolita e marginalizzata. - Un’UE “opzionale”
L’appartenenza all’Unione Europea non viene negata, ma usata come leva: si prende ciò che serve (fondi, deroghe, visibilità) e si rifiuta ciò che non piace (vincoli di bilancio, politiche comuni). Si rafforza un asse parallelo con altre destre europee e con Washington. - Cultura sotto controllo
Tagli alla cultura considerata “contro”, incentivi a quella “patriottica”. Le università e le scuole subiscono una lenta torsione: meno critica, più obbedienza. I programmi cambiano, l’arte si piega, i finanziamenti premiano la conformità. - Economia “nazionale”, protezionismo selettivo
La nuova dottrina economica abbandona ogni residuo di multilateralismo: si passa da “competitività internazionale” a “resilienza sovrana”. Si impongono dazi mirati su prodotti strategici extra-UE, si incentivano filiere interne attraverso sussidi diretti e norme su misura. Il libero scambio viene subordinato alla “salvaguardia dell’identità produttiva italiana”.
Il mercato viene ridisegnato con una logica di premi e punizioni: le aziende che “delocalizzano senza giustificazione patriottica” perdono accesso ai fondi pubblici. Le banche sono spinte a privilegiare il credito interno, e i grandi gruppi esteri vengono trattati come ospiti condizionati, non partner. Dietro lo slogan “Lavoro italiano, ricchezza italiana”, si nasconde un ritorno del capitalismo statale selettivo, dove lo Stato non interviene per tutti, ma per chi si allinea.
(L’articolo è stato elaborato con il supporto dell’IA, intelligenza artificiale)






