Nel saggio di Domino, in edicola, Leone XIV è ultima escogitazione del conclave contro il declino della Chiesa. Nella valutazione dei cardinali, forti della lezione di Francesco, negli ultimi decenni è stata Washington a minare la stabilità cattolica foraggiando le sette evangeliche in America Latina e in Africa, lo scadimento del nucleo occidentale è dato per autoinflitto.
Non resta che giocare gli Stati Uniti contro gli Stati Uniti, attraverso il magistero di un papa che è chicagoano ma anche peruviano, prodotto del Midwest ma pure romanista e tottiano. Da tempo di casa in Vaticano e infiltrato oltreoceano, Agente riprogrammato per colpire la nazione natia. Chiamato a ordire una controriforma a sud dell’equatore, a combattere il costantinismo di Donald Trump, ad abbracciare dolorosamente il clero statunitense da cui dipendono le finanze della Santa Sede. Senza provocare altre defezioni. Molto più giovane del nemico newyorkese, della stessa foggia di Bergoglio ma dal tono mediano. In sintonia con la Curia, estraneo alla gesuitica ossessione per l’Asia. Sognato distruttore dell’impero statunitense. Purché funzioni.
E’ l’audace narrazione di Domino, periodico diretto da Dino Fabbri (n.5.2025). Un brano dell’incipit di un corposo e intenso articolo-saggio, percorso da una vena d’ironia urticante, che definisce l’elezione di Prevost una sofisticata ed arrischiata scelta dei curiali e il nuovo Pontefice il meno statunitense dei cardinali statunitensi…,più romano che anglosassone, più terzomondista che occidentalista, infiltrato nella nazione d’origine anziché emissario della Casa Bianca, pensato come controffensiva…Per Bennon e il Maga una sciagura.
Meditate gente, meditate. E siamo solo all’inizio.








