Non la guerra che le cronache di casa nostra misurano con i chilogrammi di esplosivo o con il numero di morti, ma una guerra lenta, stratificata, che devasta la vita civile. È guerra ibrida perché usa strumenti ibridi — manipolazione dell’informazione, deepfake, troll factory, reti di influenza politica — che ha un target: guidare il consenso e il dissenso. Indottrinamento, lavaggio del cervello, sudditanza: questa è la posta in gioco è la nostra morte civile, progressiva e senza armi, che annichilisce la libera formazione delle opinioni.
L’allarme, guerra ibrida, non viene da un polemista in cerca di titoli facili, ma dal ministro della Difesa, Guido Crosetto. Le sue parole — l’allerta su penetrazioni interne, su officine di disinformazione che non valgono più come mera propaganda ma come arma strategica —non un richiamo retorico, ma il segnale che i percorsi d’attacco oggi passano attraverso i media, le piattaforme, i congegni digitali che regolano l’immaginario pubblico. Crosetto non inventa il pericolo: indica il perimetro dove guardare.
E quel perimetro, oggi, tocca il cuore della nostra vita pubblica. “Mi riferivo al caso di quell’ufficiale italiano che faceva la spia, ed è stato scoperto.” , precisa Crosetto. Ma è un tentativo di provocare reazioni indesiderate. Il panorama sarebbe inquietante. Ci sono docenti universitari molto ascoltati in TV, partiti nascenti e vecchie formazioni politiche, giornali, da sempre allineati con il Cremlino, senza soluzione di continuità. La radicalità e la costanza di questa rappresentazione dei fatti suddita del Cremlino desta sospetto.
L’Italia è, per storia e posizione, avverte lo stesso Ministro, il Paese europeo più vulnerabile alle penetrazioni interne: è divisa, esposta, continuamente percorsa da interessi esterni che trovano a casa nostra la loro regia. “I nostri nemici vogliono destabilizzarci”, avverte. E la destabilizzazione non arriva più dai missili, ma dai messaggi del web.
Crosetto ha parlato in termini netti di «italiani insospettabili corrotti dalla Russia», e ha amplificato la dimensione strutturale della minaccia — non sempre accompagnando la denuncia con indicazioni verificabili o nomi che consentano alla pubblica opinione di valutare i confini dell’accusa.
Non sorprende, dunque, che la “perimetrazione” proposta dal ministro abbia lasciato perplessi.
Chi sono allora i mandanti? Li si cerca a Est, ma non solo. Le modalità di interferenza non rispettano più i confini geopolitici. Oggi la regia è diffusa, modulare, commerciale. È legata all’entità delle risorse messe in campo. Hackeraggio, ma non solo. Soprattutto troll factory, sistemi automatici di amplificazione, una pioggia di video e contenuti tossici che cade incessantemente sulle nostre teste. Avviene da anni, tanto che non ci facciamo più caso. Le chat, le piattaforme più frequentate, perfino i canali d’informazione tradizionali vengono investiti da questo flusso. Il web è affollato di fake news che colpiscono sempre nella stessa direzione: le opposizioni, i leader più esposti, l’Europa e i suoi sostenitori.
L’asse di influenza è riconoscibile. Ci sono “partiti fratelli” del Cremlino, ma anche populismi di segno diverso — progressisti di superficie, sovranisti di sostanza — che condividono lo stesso linguaggio, lo stesso schema di delegittimazione, la stessa sfiducia sistemica verso le istituzioni democratiche e verso la stampa. È una rete orizzontale, trasversale, che si alimenta di consapevoli complicità e inconsapevoli amplificatori.
Accanto al fattore “insider” opera la fabbrica della menzogna: reti di siti clonati, account automatizzati, video e voci sintetiche che riproducono con verosimiglianza ciò che la realtà non ha mai detto. L’industria dei media sintetici — dai deepfake agli algoritmi di diffusione — ha reso la menzogna un servizio scalabile. Il costo di un’operazione di disinformazione è crollato; la difficoltà di verificarla è esplosa. Il risultato è una pioggia continua, una saturazione programmata del campo simbolico: non si tratta più di convincere, ma di confondere. Distruggere la fiducia, gettare fango su tutto e su tutti, finché nessuno possa più distinguere tra notizia e manipolazione.
E Crosetto, che di informazione classificata vive, “sa molto, può dire poco”. Ma basta quel poco per capire che il fronte interno è già aperto, che la guerra è già iniziata e che le sue prime vittime non saranno soldati, ma cittadini inconsapevoli.
 
			 
			





