L’Italia dello sport vive una esemplare inversione: il calcio, storicamente lo sport del popolo, arranca; il tennis, considerato a lungo uno sport d’élite, conquista trionfi globali. È un fenomeno che va oltre il semplice risultato sportivo, offre una lente attraverso cui osservare le trasformazioni sociali ed economiche del Paese. Il Volley, regalandoci la vittoria olimpica della squadra femminile, offrì agli italiani con le sue giocatrici di colore, l’immagine di una società “plurale”, che cresceva grazie a nuove risorse umane.
Partiamo dal pallone, il simbolo di una nazione che si è unita anche grazie alle sue imprese sportive. Oggi, tuttavia, il calcio italiano sembra sempre più incapace di rappresentare un’identità comune. I numeri sono impietosi: al Sud, al di sotto di Napoli, non esiste alcun club in Serie A. La Sicilia, che ha dato lustro al calcio con squadre come Palermo e Catania, è un deserto sportivo. Questa geografia calcistica riflette le disuguaglianze economiche e infrastrutturali del Paese. Dove il tessuto economico è debole, lo è anche il calcio. I giovani, nei cortili e nelle piazze del Sud, continuano a giocare, ma senza strutture, investimenti e un sistema in grado di valorizzarli, i talenti rimangono inespresso. I club di vertice, invece, prosperano soprattutto nelle regioni economicamente più forti, come la Lombardia e il Piemonte, con società che possono permettersi investimenti miliardari.Anche le proprietà straniere dei grandi club sono un segnale di come il calcio italiano abbia perso il contatto con le sue radici popolari, trasformandosi in un prodotto di mercato.
Il tennis italiano vive una seconda giovinezza e raggiunge risultati senza precedenti, un dominio global. I successi di Matteo Berrettini, Jannik Sinner(soprattutto) e Lorenzo Musetti , e delle tenniste, hanno acceso i riflettori su uno sport che, per molti, resta inaccessibile. Le racchette, infatti, non si vedono nei cortili delle scuole, né nei quartieri periferici: i costi delle attrezzature, delle lezioni private e degli abbonamenti ai club esclusivi rendono questo sport appannaggio delle classi agiate. Eppure, proprio nel tennis si respira un’aria di dinamismo, un’inversione di tendenza. I giovani talenti sono spesso espressione di sacrifici familiari e investimenti mirati, un esempio di come l’ambizione individuale possa superare i limiti strutturali.
Lo sport, nel suo insieme, non è mai soltanto una questione di vittorie o sconfitte. È un interprete fedele della realtà sociale. La supremazia del Nord nel calcio e l’esclusività del tennis raccontano una frattura crescente tra ceti popolari e classi agiate, tra il Sud e il resto del Paese. Questo divario rischia di allargarsi, non bastano tuttavia le politiche sportive mirate. Risorse e strutture sono un segnale di una inversione di tendenza nelle scelte dei governi.
Occorrono investimenti nei territori più fragili, per rendere lo sport accessibile a tutti, e una riflessione culturale su come riconnettere i valori del calcio al suo spirito originario. Il successo del tennis, inoltre, può rappresentare un fattore positivo: incentiva l’aspirazione all’eccellenza, senza dimenticare che ogni sport, per crescere, ha bisogno di radici popolari.
Lo sport italiano è chiamato a una sfida che va ben oltre il rettangolo di gioco. Può darci speranza, futuro, attraverso i risultati. Sta a noi decidere se vogliamo colmare queste disuguaglianze o lasciare che lo sport diventi l’ennesimo specchio delle nostre ingiustizie sociali e delle nostre divisioni.








