La scrittura, mi dispiace per Platone, scrive Franco Lo Piparo, autore di un eccellente articolo pubblicato da Il Foglio, ha ampliato la memoria. Senza scrittura non conosceremmo, per fare l’esempio di Guido, né l’Odissea né il Pentateuco. Non solo. Se Platone, violando la sua teoria, non si fosse avvalso della scrittura non avremmo modo di discutere della filosofia di Platone e di Socrate. Così come senza la scrittura non avremmo nemmeno una città regolata da regole accessibili a tutti. In questa discussione si trascura un fatto fondamentale: nelle rivoluzioni delle tecnologie della comunicazione la tecnologia nuova non annulla le precedenti ma le integra e le fa fa proprie. Il problema, mi pare, e’ quello dei giovani che hanno chiuso con la scuola d’ obbligo e sono molto piu’ ignoranti dei loro omologhi del passato (i quali erano molto meno numerosi)….Thamus non dice che la scoperta dell’alfabeto rendera’ gli uomini più’ ignoranti. Dice che “ingenerera’ oblio nelle anime di chi lo imparera’ perche’ cessera’ di esercitare la memoria, fidandosi dello scritto”. Il che mi pare indiscutibile. Se gli uomini senza scrittura non avessero avuto una memoria formidabile, probabilmente non avremmo l’Odissea o il Pentateuco. Platone, la scrittura, ieri e oggi. l’alfabeto digitale di oggi e l’alfabeto di ieri. L’alfabeto digitale non è una minaccia in sé, chiosa Guido Corso, ma un’opportunità che richiede una gestione consapevole. Come osservava Platone, il vero sapere non risiede negli strumenti, ma nella capacità di usarli in modo critico.
La questione, ben analizzata da Franco Lo Piparo e illuminata dalo commento di Guido Corso, è di palpitante attualità, a dispetto dei millenni che ha attraversato, come capita sovente ogni volta che ci accostiamo alla cultura greca. La scoperta dell’alfabeto ha rappresentato uno spartiacque nella storia dell’umanità. Con il passaggio dalla tradizione orale alla scrittura, si è inaugurata una nuova modalità di conservazione e trasmissione del sapere. Tuttavia, fin dall’antichità, questa rivoluzione culturale è stata oggetto di dibattito. Nel Fedro, Platone racconta il mito di Thamus e Theuth, in cui il re egiziano Thamus mette in guardia Theuth, l’inventore della scrittura, sostenendo che essa non avrebbe accresciuto la sapienza, ma avrebbe generato oblio.
Thamus osserva che affidarsi alla scrittura avrebbe indebolito la memoria degli uomini, rendendoli meno capaci di ricordare autonomamente. La scrittura, dice Thamus, non è una “tecnica di sapienza”, bensì un “espediente per rammentare”. Questa critica ha un fondamento psicologico ed epistemologico: la memoria, per le società orali, era uno strumento fondamentale per la sopravvivenza culturale. Senza la scrittura, le grandi opere come l’Odissea o il Pentateuco venivano preservate attraverso pratiche mnemoniche rigorose, esercitate per tramandare saperi complessi.
In questo senso, la scrittura non è solo un’innovazione tecnica, ma un cambio di paradigma. Essa permette di fissare le parole nel tempo e nello spazio, rendendo il sapere accessibile anche a chi non era presente al momento della sua creazione. Ma proprio questa fissità introduce un paradosso: la scrittura conserva, ma a scapito della capacità di ricordare. Platone, maestro di dialettica e di dialogo vivo, vedeva nella scrittura un tradimento dell’interazione diretta e dinamica tra maestro e discepolo.
Oggi, con l’avvento dell’era digitale, il dilemma sollevato da Platone si ripropone in termini nuovi, ma non del tutto dissimili. L’alfabeto digitale ha moltiplicato le possibilità di accesso e di conservazione del sapere, ma ha anche ridefinito le dinamiche della memoria e della conoscenza. La memoria individuale sembra sempre più delegata a dispositivi elettronici: archiviare un’informazione è questione di pochi clic, e ricordarla sembra meno necessario quando basta una ricerca su un motore online per ritrovarla.
Tuttavia, questa delega tecnologica non è priva di costi. Proprio come accadeva con la scrittura, l’affidamento alla tecnologia rischia di impoverire il pensiero critico e la capacità di collegare in modo autonomo le informazioni. L’iperconnessione digitale, paradossalmente, può generare una forma di “ignoranza informata”: siamo circondati da dati, ma spesso privi degli strumenti per interpretarli in modo critico.
La riflessione platonica mantiene una straordinaria attualità. Nel Fedro, Socrate invita a riflettere sul valore del dialogo vivo come forma di apprendimento attivo e profondo. La scrittura, pur essendo uno strumento utile, non può sostituire la capacità di interrogare e problematizzare i contenuti che veicola. Lo stesso vale per l’alfabeto digitale: i dispositivi non sono intrinsecamente negativi, ma il loro uso acritico rischia di ridurre la nostra capacità di apprendere in modo significativo.
La lezione di Platone non è una condanna della scrittura o della tecnologia, ma un invito alla consapevolezza. La scrittura – e oggi il digitale – deve essere un punto di partenza, non di arrivo. È necessario coltivare una memoria viva e critica, capace di dialogare con i testi scritti e con le informazioni digitali. Solo così possiamo evitare l’oblio temuto da Thamus e trasformare gli strumenti tecnologici in alleati della sapienza.
Il mito di Thamus e Theuth ci ricorda che ogni innovazione tecnologica implica una ridefinizione delle capacità umane. La scrittura non ha reso gli uomini più ignoranti, ma ha modificato il loro rapporto con il sapere, spostando l’attenzione dalla memoria individuale alla conservazione esterna. Allo stesso modo, l’alfabeto digitale non è una minaccia in sé, ma un’opportunità che richiede una gestione consapevole. Come osservava Platone, il vero sapere non risiede negli strumenti, ma nella capacità di usarli in modo critico. Nella nostra epoca di trasformazioni rapide, questo insegnamento resta più attuale che mai.








