Henry Kissinger, segretario di Stato americano negli anni di Nixon e Ford, premio Nobel per la pace nel 1973, aveva sintetizzato in una frase l’essenza della politica estera statunitense:“Essere nemici degli Stati Uniti è pericoloso, ma essere loro amici può essere letale.”
Dietro l’aforisma, un’intera visione del mondo: gli Stati Uniti non hanno alleati permanenti, ma interessi permanenti. Da Saigon a Kabul, da Santiago del Cile a Baghdad, la storia del secondo dopoguerra conferma il paradosso di Kissinger: i partner americani finiscono spesso travolti proprio quando credono di essere protetti.
Oggi quella regola sembra riaffiorare nel contesto digitale, dove la realpolitik si è trasformata in real deepfake: gli strumenti di influenza non sono più le armi, ma le immagini, i video e le percezioni manipolate.
Nel nuovo ordine simbolico inaugurato da Trump, la lezione di Kissinger suona più attuale che mai: non è la distanza dagli Stati Uniti a rendere vulnerabili, ma la troppa vicinanza. Il governo. italiano non è di questo avviso. Anzi chi s’azzarda a dubitare della Casa Bianca, toglie il salute.








