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Grazianeddu, l’ultimo bandito. Il film, che non abbiamo ancora visto, sulla sua vita

12/04/2025
in Articoli
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Cala il sipario su Grazianeddu. Ma non è un finale, è solo l’ultima inquadratura di un film che il cinema non ha mai prodotto. Graziano Mesina è morto. E con lui non se ne va solo un uomo, ma un’epoca. Una stagione della Sardegna dove la polvere sollevata dai cavalli si mescolava all’odore della macchia mediterranea e del sangue rappreso. Dove il confine tra giustizia e vendetta, tra Stato e omertà, tra uomo e mito, era solo una linea sottile, tracciata dalla polvere da sparo.

Era l’antieroe perfetto, Grazianeddu. Il tipo che Sergio Leone avrebbe messo al centro di una trilogia. Il volto bruciato dal sole, le rughe che raccontano più di mille battute, gli occhi da predatore e da poeta. Non aveva bisogno di sceneggiature: le sue fughe, i suoi amori, i suoi tradimenti, i suoi silenzi parlavano da soli.

Nato dalla terra ruvida della Barbagia, figlio di un dopoguerra che faceva banditi e non imprenditori, Mesina è stato tutto: criminale, sequestratore, evaso, carismatico capo, prigioniero modello, collaboratore di giustizia, traditore…di giustizia. Una figura così fluida che nessuno, nemmeno lui, saprebbe dire dove finisce l’uomo e inizia la leggenda.

Ma non era solo un bandito. Era forse anche un’idea. Era l’ombra che lo Stato inseguiva senza prenderla mai del tutto. La primula rossa sarda. Quello che fuggiva dalle galere non per evadere, ma per dimostrare che nessuna cella, nessun cancello, nessuna legge poteva davvero contenerlo. Era il bandito che sorrideva in TV, il latin lover che rubava cuori e libertà, il carcerato che stringeva mani di politici, graziato dal Presidente Ciampi.

Un personaggio in technicolor dentro un mondo in bianco e nero. Troppo grande per essere giudicato solo con i codici penali, troppo doverso per essere solo un personaggio da cronaca. Mesina è stato il western italiano che nessuno ha mai girato. La sua vita era cinema puro: fughe notturne tra i monti, latitanze leggendarie, amori impossibili, doppi giochi, arresti cinematografici. Lo spettatore di questo film mai girato lo avrebbe odiato e amato allo stesso tempo. Come si fa con quei personaggi che non puoi capire, ma che ti rimangono attaccati addosso.

E adesso? Adesso resta il silenzio di una Barbagia che ha perso il suo ultimo mito. Resta la terra che lo ha fatto bandito e lo ha accolto giusto in tempo a farlo morire a casa, a togliergli le sbarre almeno all’ultima scena. Un gesto da regista pietoso, da sceneggiatore che sa che, per quanto crudele sia stata la storia, ogni cattivo merita un’uscita di scena dignitosa.

Il film su Graziano Mesina si scrive da solo.

Forse lo gireranno, forse no. Ma ogni fotogramma sarà già inciso nei ricordi di chi lo ha inseguito, temuto, ammirato o semplicemente osservato. Finita un’epoca, iniziato il tempo della leggenda. E quelle, si sa, non muoiono mai.

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Tags: banditobarbagiagrazianeddugraziano mesinasardosequestratoresergio leone

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