Donald Trump è quel centravanti atipico che segna tantissimo… ma nella sua porta. Ogni volta che apre bocca, mette a segno un clamoroso autogol politico, rianimando proprio quegli avversari che sembravano già fuori dal torneo. La sinistra mondiale, data per spacciata, ha cominciato a rimettersi in piedi proprio grazie alle sue gaffe, alle sue minacce, ai suoi proclami. Ovunque, tranne che in Italia, dove l’opposizione guarda la partita dalla panchina. E nemmeno si scalda. Trump taumaturgo involontario, tranne che in Italia. Quando è capitato che non fosse lui in azione, ma i suoi compagni di squadra (Musk, Vance), come in Germania, ha resuscitato i tedeschi: tutti insieme contro i trumpisti che in campagna elettorale hanno dato una mano ai neonazisti, sponsorizzati apertamente. I tedeschi si sono messi in proprio, il PPE, che in Italia fa parte della maggioranza di governo, si è messo di traverso e guidato una cordata anti-trump, di fatto.
Ma il miracolo compiuto dal Presidente degli Stati Uniti, è sotto gli occhi di tutti. C’è un paziente dato per spacciato, con la prognosi peggiore possibile: la sinistra. Ovunque, nel mondo, è stata intubata, abbandonata nei corridoi della storia, data in pasto ai necrologi della stampa. Eppure – come accade nei racconti che non dovrebbero più accadere – si è risvegliata. Ha aperto un occhio, poi l’altro. Ha tossito. E si è messa a camminare. Con passo claudicante, certo, ma cammina. E il medico che non t’aspetti – il taumaturgo sgraziato che ha reso possibile questo ritorno – è Donald Trump. Sì, proprio lui.
Appena Trump prende parola – e non è mai parola leggera – qualcosa si muove nell’emisfero sinistro della politica. Come se le sue uscite da predicatore catastrofista, il suo lessico da bancarottiere motivazionale, risvegliassero istinti vitali che parevano atrofizzati. Come se bastasse ricordare cosa c’è dall’altra parte per far tornare la voglia di esserci.
In Canada, fino a qualche settimana fa, i liberali erano una specie protetta: osservati con nostalgia, in via d’estinzione. Pierre Poilievre, leader dei conservatori, era pronto al brindisi. Ma poi Trump ha parlato: “Il Canada dovrebbe essere il 51esimo stato degli Stati Uniti”. Il tono era scherzoso (forse), ma l’effetto è stato serio: l’elettorato canadese ha improvvisamente ricordato che c’è una cosa chiamata sovranità. Risultato? Mark Carney, successore di Trudeau, ha vinto. E probabilmente nemmeno lui sa esattamente come.
In Australia, la situazione era persino più compromessa: il laburista Anthony Albanese sembrava un naufrago su zattera. La destra di Peter Dutton – un falco trumpiano in salsa australe – stava per chiudere il conto. Ma è bastato che Trump annunciasse l’ennesimo piano di “finanza creativa” per ribaltare i sondaggi. Albanese non solo ha galleggiato: ha ripreso a navigare.
In Gran Bretagna, l’effetto è stato addirittura continentale. Keir Starmer, che molti vedevano come un tecnocrate senza scintilla, si è trasformato – grazie a Trump – nel leader dell’“altra Europa”: quella che non vuole tornare indietro di settant’anni. Ora guida i sondaggi con un margine da far tremare i conservatori.
Persino in Germania, dove la politica si muove al ritmo del metronomo, Friedrich Merz leader della CDU – ha trovato nuova legittimazione mostrando la differenza tra destra conservatrice e destra caotica. Anche lì, Trump è servito da contrasto: come il buio che fa riscoprire l’utilità della candela.
E poi c’è l’Italia.
Qui, il miracolo non c’è stato. Anzi, la sinistra non è in risveglio: è in rianimazione. Da anni vive in un coma farmacologico che assomiglia sempre più a una scelta: niente scosse, niente identità, niente rischio. Solo gestione dell’irrilevanza. Prevale la narrazione dell’amica di Trump, Giorgia Meloni, che tiene la rotta dritta verso la Casa Bianca, e del suo Vice Presidente del consiglio, che ha giudicato i dazi come una opportunità per le imprese italiane.
Trump può anche dire che l’Italia è un paese fallito che vive alle spalle della NATO – lo ha fatto, più o meno esplicitamente – ma nessuno da sinistra sembra cogliere l’occasione. Cè una parte dell’opposizione che tace, e quindi acconsente, non si alza per dire: “Ecco, questa è la nostra occasione per tornare a parlare di Europa, di sovranità, di giustizia economica, di lavoro”. Il vuoto è sistemico. Non ci sono né idee né leader capaci di trasformare lo sfregio globale in carburante politico, perché privilegiano la sopravvivenza della loro bottega. In Italia si fa opposizione come se fossimo ancora al 2011. Con le stesse facce, gli stessi linguaggi, lo stesso terrore di dire qualcosa di radicale. Eppure è proprio questa la finestra storica: Trump è il catalizzatore, non il nemico da evitare.
Intanto, fuori dal coma, succede questo:
- Negli USA, Trump continua a minacciare l’ordine liberale mondiale. Ha promesso dazi del 60% alla Cina, un’uscita dalle alleanze tradizionali, e una guerra commerciale generalizzata.
- Le borse oscillano, le diplomazie si allertano, e i partner storici si riorganizzano. La sinistra internazionale (quella vera, quella che esiste) si ridesta proprio per arginare tutto ciò.
- In Europa, le elezioni del 2024 hanno mostrato che laddove c’è un’offerta politica alternativa e credibile, gli elettori rispondono. In Spagna, in Polonia, in Finlandia. Anche solo per difendersi.
Il miracolo di Trump è la resurrezione della sinistra. Chi critica l’amico americano, vince. Il mondo, dopo lo shock, si è rimesso in cammino.







