L’ultima trovata del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara – rendere l’educazione sessuale accessibile solo previo consenso scritto dei genitori – è un atto politico che tradisce una visione ben precisa della scuola: non luogo di crescita autonoma e di emancipazione, ma spazio controllato, vigilato, sorvegliato di addomesticamento.
Perché, viene da chiedersi, proprio questa materia deve essere sottoposta a nulla osta genitoriale? Quale timore giustifica questa eccezione? Il Ministro Valditara non si fida della scuola?
La sessualità è ancora un tabù per la scuola pubblica italiana, e non lo è solo per le sue implicazioni biologiche. Lo è perché tocca questioni profonde: il consenso, il desiderio, la diversità, la parità, l’identità di genere. Temi che spaventano chi vuole una scuola obbediente più che formativa. Parlare di sentimenti, di emozioni, di relazioni autentiche tra persone, implica riconoscere la pluralità dell’esperienza umana, aprire spazi di riflessione che mettono in crisi l’uniformità culturale e i modelli tradizionali. L’educazione sentimentale forma cittadini empatici, capaci di rispetto, di dialogo, di solidarietà: tutte qualità che si oppongono alle logiche autoritarie e alla chiusura identitaria.
Significativa è perciò la scelta di parlare esclusivamente di “educazione sessuale”, eludendo del tutto l’educazione sentimentale. L’omissione non è neutra. La prima implica una dimensione tecnica, quasi biologica: anatomia, contraccezione, prevenzione delle malattie. Parlare di sesso senza parlare di affetti, emozioni, relazioni, è come insegnare la grammatica senza mai scrivere una frase. La seconda – l’educazione sentimentale – comporta invece un salto culturale: costringe a interrogarsi sui rapporti affettivi, sul patriarcato, sull’identità di genere, sull’amore in tutte le sue forme, comprese quelle ancora oggi stigmatizzate da una parte dell’opinione pubblica. La sua rimozione acquista valore simbolico, costituendo l’educazione sentimentale l’unico antidoto alla cultura del possesso, alla violenza di genere, all’analfabetismo emotivo che tanti danni provoca nelle relazioni e nella società. In molti Paesi europei – Francia in testa – fa parte integrante del curriculum scolastico. In Italia, invece, si teme che aprire le aule a questi temi significhi spalancare le porte a “idee pericolose”: l’amore tra persone dello stesso sesso, la libertà di non aderire ai ruoli di genere, la critica al patriarcato. Se c’è qualcosa che oggi davvero minaccia la società civile è l’ipocrisia di chi vuole una scuola neutra solo quando si tratta di diritti, e militante quando si tratta di ordine.
È tempo che si riconosca l’urgenza di una formazione integrale, che includa il corpo, l’affettività, il pensiero critico e la complessità delle relazioni umane. Perché una società che ha paura dell’amore – in tutte le sue forme – è una società che ha paura della libertà.
Il consenso, in educazione, non va chiesto ai genitori. Va costruito con gli studenti. E va fondato sul principio che conoscere – il proprio corpo, i propri desideri, le proprie emozioni – è sempre un atto di libertà.








