Il ritorno ai dazi punitivi del 50 per cento verso l’UE, ( l’Italia in prima linea a causa del livello di export), prima della moratoria fissata di 90 giorni, ribadisce il metodo intimidatorio della Casa Bianca. Gli agguati agli ospiti internazionali dello Studio Ovale e gli insulti di Trump agli europei si ripetono; ucraini e palestinesi subiscono le bombe dei “compari”, Putin e Netanyahu. Gli umori prevalgono sulla logica, i terremoti finanziari si susseguono a ritmo incalzante, l’incertezza accumula tensioni e produce sgomento, il Presidente Usa non si smntisce, anzi.
L’amico americano non è un bullo, truce, prepotente e bugiardo, ma si riveka una ubriacatura esistenziale: riscrive la realtà a suo piacimento, disumanizza comportamenti e relazioni umane, manipola parole e fatti, mutando il significato originario delle parole, persino dell’etimologia.
Anche quando non parla il volto ingrugnito sembra comunicare un editto ineluttabile, l’equivalente del celebre “io so io, e tu non sei un cazzo”. La maschera sulfurea piuttosto che indurre al sorriso, lspaventa; non si può chiedere di brandire una spada che non la possiede. Quando affronta i forti, tuttavia – Putin, Xi Jinping,Netanyahu – il duro si ammansisce, accetta lo scacco, i trucchi, il silenzio, Si trasforma in una tigre di carta, aumentando lo sgoemento di chi condivide il suo destino.
Se i segnali sono inequivocabil e, lo sconcerto unanime, che cosa suggerisce a Giorgia Meloni, Matteo Salvini e la teoria di followers, di stargli accanto, blandirlo, spartire con lui il terrificante mood?
Trump invita alla Casa Bianca un leader straniero che non sopporta, lo accoglie col sorriso, poi lo bullizza davanti ai riflettori. Dopo Zelensky, il canadese Carney, la “vittima” stavolta è Cyril Ramaphosa, presidente del Sudafrica e prossimo presidente del G20. Al segnale del padrone di casa, le luci dello Studio Ovale si abbassano come in un teatrino da cineclub, e viene mostrato un video taroccato in cui si accusa il governo sudafricano di aver massacrato decine di afrikaner. Propaganda spiccia, manipolata, orrenda, confezionata per l’elettorato suprematista bianco
Il giardino ideologico di Trump è irrigato con l’acqua stagnante dell’odio etnico e della paranoia bianca. Il mondo esterno conta solo in funzione del messaggio da veicolare agli elettori MAGA, quelli che, il 6 gennaio 2021, hanno preso d’assalto il Congresso degli Stati Uniti brandendo croci cristiane, bandiere confederate e cappucci virtuali del Ku Klux Klan.
Trump parla ancora a loro. Per loro, l’umiliazione del leader nero di un Paese africano ha un valore simbolico preciso: ribadire che il potere globale deve rimanere in mani bianche. La messinscena razzista, al pari delle deportazioni filmate e pubblicizzate, diventa così parte della narrazione identitaria che tiene unita la coalizione tossica di suprematisti, cospirazionisti e imprenditori del risentimento. Che ci facciamo accanto a questo personaggio? Perché i nostri destini devono incrociarsi? Noi siamo un’altra cosa. O non è così e mi sto sbagliando?
 
			 
			







