Un gesuita si avventura nella giungla, solitario, e ad un certo punto compare una fiera: un leone di dimensioni enormi. Il gesuita capisce di non avere speranza, si butta così in ginocchio davanti all’animale e alzando gli occhi al cielo, implorante, dice: Signore, per favore, instilla in questa fiera un sentimento cristiano”. Il leone, a sua volta, si avvicina e volgendo gli occhi anche lui al cielo, devotamente ringrazia: “Signore, ti ringrazio per il cibo che sto per prendere”.
La barzelletta, raccontata da Carlo Musso nel libro Spera, è una delle tante testimonianze di come Papa Francesco viva e promuova un umorismo genuino, disarmante, umano. Nessuna pomposità, nessuna ironia da intellettuali in abito talare. Solo il piacere, semplice e profondo, di una risata che alleggerisce la vita e avvicina le persone.
Fin dall’inizio del suo pontificato, Francesco ha sorpreso con battute e aneddoti che non ci si aspetterebbe da un capo di Stato. Durante un incontro con i giovani in Sardegna, nel 2013, disse: “Non fatevi rubare la speranza… E neanche la borsetta!” La folla scoppiò a ridere. Anche in momenti formali, il Papa non disdegna la leggerezza: a un gruppo di farmacisti ha detto una volta che “la Chiesa è come una farmacia: ha la medicina giusta, ma bisogna sapere leggerla bene, come il bugiardino.”
La sua cifra è quella di chi vive il buonumore come una qualità essenziale dell’animo. In più occasioni, Francesco ha detto di pregare ogni giorno con una preghiera attribuita a Thomas More, nella quale si chiede al Signore “un po’ di umorismo”. Perché, aggiunge spesso, “l’umorismo ti solleva, ti fa vedere le cose con spirito di relatività, ti fa bene”.
In un mondo dove anche la religione può trasformarsi in mestiere grave, e a volte cupo, Francesco è rimasto fedele all’uomo Jorge Mario Bergoglio: quello che prende l’autobus, che cucina, che telefona agli amici e che non si prende mai troppo sul serio. Come quando, parlando della sua elezione al soglio pontificio, ha detto: “I miei amici sono venuti a Roma per vedere il Papa… e si sono trovati me!”
Francesco non usa l’umorismo per sedurre o per sviare. Lo usa come uno fa col pane fresco: per condividerlo. Non si serve del sarcasmo, non punta mai al ridicolo altrui. Ma sa cogliere l’assurdo e il paradossale, come nel caso in cui, incontrando un uomo che gli disse “sono ateo”, gli rispose: “Piacere, sono papa Francesco.”
C’è in tutto questo una lezione semplice, e per nulla teologica: vivere con leggerezza non significa superficialità, ma autenticità. Significa sorridere, anche nei giorni storti, anche nella giungla, anche davanti ai leoni — finché non ringraziano.








