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La fabbrica dei figli, catena di montaggio e eugenetica. Nascono campioni e schiavi, consegna del silenzio

12/05/2025
in Articoli
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Una inchiesta di Rai3 (In 1/2 ora, di Monica Maggioni) dedicata ai “pronatalisti” è passata inosservata. Una lucida recente inchiesta sui fascismi americani del Guardian, ripresa da Internazionale, anch’essa ignorata. Lontano dai riflettori dell’opinione pubblica europea, e in particolare italiana, si sta delineando un nuovo progetto di società che ha la lucidità fredda di un piano industriale e l’odore stantio delle ideologie totalitarie del Novecento. E’ nata la fabbrica dei figli. Con una efficiente catena di montaggio. Ha come obiettivo la “salvezza dell’Occidente”, come motore l’ansia demografica, come strumento la tecnologia genetica, e come architetti una ristrettissima élite bianca, maschile e miliardaria. L’etichetta che oggi lo veste è “pronatalismo”. Ma il contenuto è un altro: selezione, controllo, dominio.

Negli Stati Uniti, fondazioni finanziate da personaggi come Elon Musk, Sam Altman (CEO di OpenAI), Peter Thiel e altri tycoon della Silicon Valley stanno investendo ingenti risorse nella creazione di un modello riproduttivo che prevede turnazione programmata delle gravidanze, selezione embrionale tramite analisi del DNA, identificazione precoce di patologie e “difetti”, e accesso privilegiato a tecnologie riproduttive per chi ha le risorse per comprarle. L’obiettivo dichiarato: aumentare il tasso di natalità “occidentale”, inteso come bianco, anglosassone, tecnologicamente efficiente.

Dietro l’apparente preoccupazione per il calo demografico si nasconde un progetto di ingegneria sociale dal sapore apertamente suprematista: preservare l’America bianca, e insieme la sua egemonia tecnologica e culturale, da un futuro in cui l’equilibrio razziale ed elettorale del paese si sposterà inevitabilmente verso le minoranze.

Come già hanno evidenziato gli studiosi Timnit Gebru ed Émile Torres, questo progetto “pronatalista” è in realtà un prolungamento diretto dell’eugenetica primonovecentesca, quella che selezionava i “degni di vita” e auspicava la sterilizzazione dei “non idonei”. L’unica differenza è che oggi non si usano più leggi statali, ma piattaforme private, startup biotech e laboratori genetici. L’effetto, tuttavia, è identico: chi può permettersi di pagare accede alla riproduzione selettiva e all’ottimizzazione genetica. Chi no, resta indietro, subalterno, escluso. Ecco allora che il futuro si configura non come una democrazia biologica, ma come un’oligarchia riproduttiva.

La società che questo movimento intende costruire è esplicitamente gerarchica: in alto, i “figli di progetto”, frutto di selezione genetica, destinati alle accademie d’élite e ai ruoli apicali; in basso, i figli della povertà, dei flussi migratori, delle comunità non-bianche, destinati al lavoro esecutivo, ai servizi, all’obbedienza.

Altro che “rivincita della famiglia tradizionale”: nel modello Collins – la famiglia-simbolo del pronatalismo americano, con un figlio ogni diciotto mesi come da protocollo produttivo – non c’è nulla di familiare. C’è solo un modello industriale travestito da domesticità, un allevamento umano reso legittimo dalla scienza, dall’ideologia e dal capitale.

La vera domanda non è se questo futuro sia distopico, ma per chi. Per l’élite bianca che lo finanzia, è un progetto di protezione del proprio potere. Per le masse, è una nuova forma di schiavitù biologica: essere messi al mondo solo se si rientra nei parametri genetici selezionati dai nuovi padroni dell’umano.

E che siano proprio i magnati della Silicon Valley – un tempo culla della controcultura libertaria e pacifista – a finanziare questi laboratori eugenetici non è un paradosso. È la conseguenza logica di un capitalismo assoluto che, dopo aver sottomesso il lavoro e il tempo, vuole sottomettere anche la nascita.

Non stupisce, infine, che l’ossessione per la natalità selettiva trovi sponde politiche nell’estrema destra globale, dagli identitari europei ai trumpiani americani. L’ansia da “sostituzione razziale”, che Maurizio Crippa ha giustamente definito “la più demenziale delle teorie”, è in realtà la chiave simbolica per comprendere il panico della supremazia bianca di fronte all’inevitabile trasformazione del corpo elettorale occidentale. In questa cornice, i figli diventano non soggetti ma risorse. E la loro produzione non è atto d’amore, ma calcolo strategico. I media italiani ignorano. Ma il mondo che si sta preparando è già in incubazione.

 

 

 

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Tags: crippaÉmile TorrespronatalismoeugeneticageneticilaboratorioligarchiaPeter ThielriproduttivaSam AltmansuprematistaTimnit Gebru

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