Noi, donne e uomini liberi, salpiamo.
Salpiamo da un’Europa che ha taciuto troppo, da una politica che ha delegato tutto al calcolo, da un mondo che osserva l’agonia di Gaza con occhi abbassati e mani legate. Portiamo viveri, medicine, non chiediamo permessi per soccorrere.
Se una nave italiana andasse sulla costa di Gaza per portare alla popolazione stremata, affamata, boccheggiante, cibo e farmaci, senza chiedere il permesso a Netanyahu, che cosa accadrebbe? Mentre l’America favorisce la catastrofe umanitaria palestinese, l’Europa balbetta e l’Italia tace colpevolmente, violando l’embargo, la nave ridarebbe una speranza. Arriverebbero i missili d’Israele, com’è capitato di recente ad un vascello umanitario? Potrebbe essere colpita, affondata, insieme con il suo equipaggio, certo, ma ogni colpo di cannone contro un paese amico e un equipaggio composto anche da ebrei, sarebbe per Netanyau come premere il grilletto di una pistola contro di sé, una sorta di roulette russa che scandisce una sequenza di morte.
Dichiarare che quella nave rappresenta “l’umanità in movimento”, non uno Stato che fa la guerra, ma popoli che si rifiutano di essere complici. Anche un fallimento può essere fondativo, se mostra al mondo che qualcuno ha avuto il coraggio di provarci. E l’Italia, in silenzio da troppo tempo, potrebbe ritrovare una voce degna della sua memoria resistenziale.
Salpando da un porto italiano, verrebbe inviato un messaggio. Un Manifesto, Exodus 1925.
Salpiamo per Gaza, non per sfidare uno Stato, ma per riaffermare un principio:
che il diritto al soccorso è inviolabile,
che la fame non ha confini,
che l’umanità precede ogni embargo.
. Non riconosciamo legittimità a un assedio che condanna un popolo alla fame, al trauma perpetuo, alla cancellazione della speranza. Questa nave non è di un governo, ma della coscienza collettiva. Se ci fermeranno, avranno mostrato al mondo che temono più il pane della bomba, più la parola della violenza. Se ci lasceranno passare, avranno ammesso che un’altra via è possibile. In ogni caso, avremo aperto una breccia nel silenzio.
Exodus 2025 non è un’utopia. È un atto di disobbedienza morale, un’azione diretta di pace, un grido che attraversa il mare. Noi salpiamo perché chi soccorre non invade.
Noi salpiamo perché chi resta fermo tradisce.
Noi salpiamo perché nessun popolo può essere lasciato solo sotto le macerie, sotto i razzi, sotto l’indifferenza. Gaza non è solo un luogo: è una domanda a cui dobbiamo rispondere.







