Dietro le parate diplomatiche, le dichiarazioni ufficiali e le campagne contro “il terrorismo internazionale”, esiste un asse ideologico più profondo e insidioso che unisce due leadership apparentemente distanti: quella suprematista cristiano-nazionalista di Donald Trump e quella suprematista ebraico-messianica di Benjamin Netanyahu. Due nazionalismi religiosi, due visioni del mondo manichee, due retoriche della missione divina, oggi saldamente intrecciate in una comunità di destino che travalica confini e confessioni.
Non si tratta di una semplice alleanza tra Stati. È una simbiosi tra due fondamentalismi politici, che condividono lo stesso disegno: spazzare via il pluralismo, ricostruire l’identità nazionale su basi teocratiche, e ridurre la democrazia a un contenitore svuotato di diritti universali.
Il punto di contatto fra Trump e Netanyahu non è l’interesse strategico, né la storia condivisa, ma la fede condivisa nel potere redentivo della nazione armata da Dio. Negli Stati Uniti, il “sionismo cristiano” è da decenni la colonna portante dell’evangelismo politico. Milioni di cristiani bianchi protestanti credono che il ritorno degli ebrei in Israele e il loro dominio su Gerusalemme siano passaggi profetici verso la seconda venuta di Cristo.
Donald Trump è un uomo di fede? La domanda dobbiamo porla, senza farne una questione essen ziale: Trump ha compreso perfettamente il valore elettorale di questa visione, ed è questp ciò che conta. Da presidente, ha fatto propri i simboli di questa teologia politica: ha spostato l’ambasciata americana a Gerusalemme, riconosciuto la sovranità israeliana sul Golan e incoraggiato apertamente le colonie nei territori occupati, contravvenendo al diritto internazionale.
In cambio, ha ricevuto in patria il sostegno incondizionato della destra israeliana, e l’adorazione di una base evangelica che lo vede nonostante ogni immoralità personale, come “strumento di Dio”. Il pastore texano Robert Jeffress lo disse chiaramente nel 2018, nel giorno dell’inaugurazione dell’ambasciata a Gerusalemme: “Dio ha scelto Trump per difendere Israele e adempiere la profezia.” E sarebbe tornato a sceglierlo, stando alle dichiarazioni dello steso Trump, quando ha deviato il proiettile destinato ad ucciderlo durante la campagna elettorale, lo scorso anno.
Dall’altra parte, Benjamin Netanyahu ha saputo trasformare Israele in una cittadella ideologica perfettamente compatibile con l’immaginario della destra religiosa americana. Il suo patto con gli ultraortodossi e i coloni messianici si fonda sulla condivisione di uno scopo storico: la riconquista completa della Terra Promessa, senza compromessi né processi di pace.
Il progetto di annessione de facto della Cisgiordania, l’espulsione dei palestinesi da Gaza, la distruzione della soluzione dei “due Stati”, sono obiettivi comuni a chi legge la storia come una progressione verso un ordine divino predestinato. Il ministro delle finanze Smotrich, leader del partito Sionismo Religioso, ha dichiarato nel 2023:“Non c’è un popolo palestinese. Dio ha promesso questa terra solo a noi.”Una frase che potrebbe essere sottoscritta da numerosi membri del Partito Repubblicano trumpiano, per i quali l’Antico Testamento è geopolitica applicata.
(Nell’elaborazione dell’articolo mi sono avvalso del supporto dell’intelligenza artificiale per le ricerche e gli elementi di maggior interesse storico-politico)









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