L’espressione “amico del giaguaro” affonda le sue radici in una vecchia barzelletta popolare e ha assunto un significato figurato ben preciso: si usa per descrivere chi, anche inconsapevolmente, finisce per stare dalla parte dell’avversario, magari mentre pretende di aiutare un alleato. Immaginiamo il giaguaro: possente, spietato, un predatore solitario con il morso più potente fra i felini. I nativi lo chiamano Yaguar, “colui che uccide con un balzo”. Un’immagine perfetta per rappresentare Trump, un politico che non ha mai avuto scrupoli a sbranare trattati, alleanze e diplomazie per imporre il suo dominio. La sua caccia all’Europa, con dazi, ricatti commerciali, sabotaggi geopolitici, non conosce tregua.
In questo scenario, chi dovrebbe proteggere l’Italia? Chi dovrebbe opporsi ai predatori globali per difendere gli interessi del Paese? Paradossalmente, la risposta è: l’amica del giaguaro. Ovvero Giorgia Meloni, colei che si professa amica di Trump e paladina del sovranismo, della patria e dell’identità italiana, ma che alla prova dei fatti mostra un’inquietante subalternità proprio verso chi dell’Europa vuole fare brandelli.
Meloni, pur di compiacere il potente d’oltreoceano, tace di fronte alle minacce, lla disintegrazione della NATO o dell’Unione Europea, e accetta passivamente una visione del mondo che vorrebbe l’Italia marginale, docile, cliente. Di fatto, consiglia la resa. Oppure preferisce non esporsi, per non urtare la suscettibilità del giaguaro americano.
Il patriottismo di Meloni sembra allora una bandiera agitata solo nelle piazze italiane, ma accuratamente nascosta nei consessi internazionali. Non si difende la patria piegandosi a chi vuole ridisegnare l’Occidente secondo criteri autoritari, isolazionisti, predatori. Non si serve l’Italia accontentandosi del ruolo di comparsa nel racconto di potere altrui.
Se Trump è davvero il giaguaro, il rischio è che, quando il predatore deciderà di balzare, a farne le spese sarà anche chi gli ha tenuto la porta aperta.







