C’è una verità orrenda che attraversa come un filo spinato l’intera tragedia mediorientale: Hamas e Benjamin Netanyahu non si combattono soltanto. Si giustificano. Esistono, sopravvivono e prosperano perché c’è l’altro. Non è un semplice rapporto di ostilità, ma una simbiosi infernale, una danza macabra in cui ognuno offre all’altro l’alibi per restare dov’è, per perpetuare la propria egemonia sul sangue dei civili.
Hamas ha bisogno di Netanyahu per essere ciò che pretende di essere: la resistenza assoluta, purificata dal messianesimo, incistata nella disperazione. Netanyahu ha bisogno di Hamas per demolire ogni ipotesi di Stato palestinese moderato, negoziale, internazionalmente riconosciuto. L’uno esclude Fatah, l’altro abbatte la pace di Oslo. Il nemico è indispensabile. Il nemico è ontologico.
E se si scava sotto le macerie, si scopre che c’è stato un tempo — non troppo lontano — in cui lo stesso Netanyahu ha lasciato crescere Hamas, ne ha tollerato il radicamento, finanziariamente e diplomaticamente, per sabotare l’Autorità Nazionale Palestinese, l’unica forza che potesse — imperfettamente — incarnare un progetto statale non fondato sulla teologia della vendetta. Israele voleva un nemico inservibile, radicale, inassimilabile: lo ha trovato, lo ha nutrito, ne ha fatto l’argine perfetto contro ogni ipotesi di pace.
Il 7 ottobre 2023 non è solo l’inizio di una nuova carneficina, ma l’atto culminante di un lungo apprendistato nell’orrore. Hamas, ispirato e sostenuto dall’Iran, alleato strategico della Russia, ha aperto un fronte che ha riequilibrato l’attenzione dall’Ucraina, trascinando l’Occidente in un teatro inestricabile, trasformando Gaza in un buco nero morale e militare. Putin osserva e incassa.
Netanyahu, a sua volta, ha risposto come doveva, come voleva: con la guerra totale, con la sospensione del diritto, con lo sterminio, con la distruzione meticolosa delle infrastrutture civili. Ogni scuola bombardata, ogni ospedale reso polvere, ogni bambino ridotto a numero serve a cancellare la possibilità stessa di una Palestina vivibile, dunque negoziabile. È la dottrina del nemico assoluto, elevata a sistema. È l’atomizzazione della società palestinese come garanzia dell’eternità dello status quo.
Chi perde, in questo abbraccio vampiresco, è sempre lo stesso: il popolo palestinese, il popolo ebraico, la memoria del diritto internazionale, l’idea stessa di giustizia. Perché la tragedia è questa: Hamas e Netanyahu si combattono, ma si legittimano. La pace, invece, li cancellerebbe entrambi.







