Danzano davanti agli occhi degli italiani, affascinati o contrariati, le cifre: di sicuro, tuttavia, il Ponte sullo Stretto, oltre che per la sua campata record di lunghezza, si prepara a conquistare il primato dei costi. Costruire il Ponte sullo Stretto di Messina non sarà solo un’impresa ingegneristica senza precedenti in Italia: rischia di diventare la più costosa scommessa infrastrutturale della nostra storia recente. Le stime ufficiali parlano già di circa 19 miliardi di euro, ma non includono la revisione dei prezzi, le varianti in corso d’opera, gli imprevisti geologici o normativi che, in progetti di questa portata, sono quasi inevitabili. Basta guardare a esperienze analoghe nel mondo — dal colossale sistema Hong Kong-Zhuhai-Macau all’Øresund tra Danimarca e Svezia — per capire che il conto finale potrebbe facilmente lievitare di miliardi ridefinendo il primato europeo dei costi per un attraversamento marino.
Il costo previsto (sui 19-20 miliardi di euro, considerando le cifre note) è molto superiore a quello di opere recenti in Europa con caratteristiche simili, per estensione/peso/complessità (ponti sospesi + ferrovia + carichi ambientali), benché non in lunghezza totale di attraversamento come, per esempio, il caso Cina o il Øresund. Se si aggiungesse la revisione dei prezzi o altri costi aggiuntivi imprevisti, il Ponte potrebbe superare i 20-25 miliardi di euro prima di essere operativo, a seconda di quanto duri la costruzione e quanto instabili siano i prezzi e le condizioni normative.
Inoltre, rispetto ad altre opere italiane di grande scala (linee ferroviarie ad alta velocità, tunnel di montagna, grandi stazioni), questo importo è tra i più elevati: l’impegno pubblico, la gestione, la manutenzione nel tempo, la continuità di servizio saranno elementi che incideranno pesantemente sul costo totale di vita dell’infrastruttura (lifetime cost).
In infrastrutture pubbliche di grandi dimensioni, soprattutto in Italia e in Europa, le variazioni dei prezzi dall’inizio alla fine dei lavori possono essere dell’ordine del 20-30%, a seconda della durata, del contesto economico internazionale, delle forniture importate, dei tassi di inflazione del settore dei materiali e dell’energia. Se il Ponte dovesse subire una variazione dei prezzi del, diciamo, 15-20%, il costo finale potrebbe salire di ulteriori 3-4 miliardi di euro — forse di più.
Oltre alla revisione dei prezzi, ci sono rischi legati a imprevisti geologici, problematiche ambientali, varianti in corso d’opera, contenziosi, adeguamenti antisismici (dato che lo Stretto è zona sismica), impatti burocratici o giudiziari, etc. Spese per espropri, per accessi stradali/ferroviari complementari, per infrastrutture collegate, reti di trasporto attorno al ponte, potrebbero non essere tutte incluse.
La diffidenza, in molti casi si tratta di insofferenza e di contrarietà su una spesa che precede investimenti sul trasporto pubblico in Sicilia e Calabria, e sulla persistente assenza di informazioni ufficiali complete e trasparenti. Il progetto esecutivo non è stato ancora reso pubblico, i dati sulle opere accessorie e sulle compensazioni ambientali circolano in modo frammentario, mentre i documenti del piano economico-finanziario trapelano a pezzi, spesso senza chiarire le ipotesi sottostanti. Ne deriva una percezione di opacità. In un Paese dove i grandi cantieri hanno spesso superato i preventivi iniziali, il silenzio sulle clausole di revisione e sulle garanzie finanziarie diventa terreno fertile per sospetti e polemiche.
(L’articolo è stato elaborato con il supporto dell’AI)
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