La “pace fiscale” è diventata il brand preferito del governo, un’etichetta che Matteo Salvini sventola come se fosse la panacea di ogni male tributario. Ma basta scorrere i numeri per capire che siamo davanti all’ennesima fiction politica. Negli ultimi vent’anni non si è tagliato un solo euro di tasse in modo strutturale. Anzi: nel 2024, con il governo Meloni saldamente in sella, la pressione fiscale ha toccato il record del 42,6%, crescendo di 1,6 punti rispetto all’anno precedente.
Le bugie, si sa, hanno le gambe corte, ma quelle fiscali riescono sempre a correre fino alla prossima campagna elettorale. La Lega, che oggi promette rottamazioni e detassazioni natalizie, è stata al governo per 4.650 giorni negli ultimi vent’anni, cioè il 60% del tempo. Forza Italia la supera, con 6.762 giorni, tre quarti del periodo considerato. Due forze che hanno avuto il potere – e il tempo – per rivoluzionare il fisco. Risultato? Tasse sempre lì, puntuali come l’IMU a dicembre.
Eppure, alla vigilia delle regionali, fioccano gli annunci: detassazione delle tredicesime, nuova rottamazione delle cartelle, estensione della flat tax, taglio dell’IRPEF per il ceto medio, blocco dell’aumento dell’età pensionabile. Un catalogo di promesse miracolose, con lo stesso destino di quelle precedenti: evaporare all’impatto con i conti pubblici.
Il sospetto, più che legittimo, è che la “pace fiscale” sia solo un paravento: un modo per distrarre l’elettorato da un dato elementare, eppure imbarazzante – in Italia le tasse non scendono mai. Cambiano le sigle al governo, restano uguali le alchimie contabili, i condoni che servono a rimettere in cassa senza riformare, le proroghe che spacciano per riforme l’ennesimo rinvio.
L’unica vera certezza? Il contribuente: sempre lì, a fare la fila al CAF, con la stessa domanda di vent’anni fa: “Quando tocca a noi?”.