Con gli iraniani, contro Israele: Francesco oltre tutte le linee rosse, è il titolo dell’editoriale di Giuliano Ferrara sul “Foglio” L’inipit è tranchant: Se per il Papa il 7 ottobre è la data di un incidente della resistenza dei poveri alla quale è seguito un genocidio perpetrato dallo stato ebraico, affari suoi. Bisogna sperare che si levino voci persuasive a difendere il diritto della chiesa a proclamare: non in mio nome. Commenta Marco Trainito su un post: rivela la posizione di una certa intellighenzia italiana di atei devoti che attacca l’attuale papa non in quanto papa, cioè capo di un’istituzione oscurantista così e così, ma in quanto responsabile di una linea della Chiesa – teologicamente debole e politicamente pauperista e filo-palestinese – che la pone in contrasto con quella neo-con e sionista. In sostanza, questa intellighenzia orfana del modello ratzingeriano pretende di dettare l’agenda al pontefice dal punto di vista del clericalismo più tradizionalista, non peritandosi nemmeno di istigare platealmente un certo clero – per il quale Bergoglio è un impostore, se non addirittura un antipapa – alla rivolta interna. Il sogno senile fetish di Ferrara, come di altri come lui, è quello di vestire la porpora cardinalizia “honoris causa” e partecipare almeno al prossimo conclave, in modo da contribuire all’elezione del papa “giusto”.
La figura degli atei devoti, un ossimoro in termini e una realtà nei fatti, si presenta come una delle anomalie più intriganti del panorama culturale italiano contemporaneo. Si tratta di intellettuali laici, talvolta fieramente anticlericali nei presupposti ideologici, che tuttavia non esitano a intervenire nel dibattito teologico ed ecclesiale, spingendosi a pretendere di influenzarne la direzione. La contraddizione appare evidente: non credendo nella trascendenza del messaggio cristiano né nella legittimità del potere spirituale del pontefice, questi individui rivendicano tuttavia un ruolo di arbitri nelle questioni interne della Chiesa cattolica. Tale atteggiamento non può che essere letto come una forma di ingerenza culturale, un tentativo di strumentalizzazione di un’istituzione millenaria per scopi politici o, peggio, per soddisfare personali ambizioni intellettuali.
La critica feroce a Papa Francesco da parte di questa corrente non è una critica alla Chiesa in sé, bensì al tipo di Chiesa che Bergoglio incarna. Non si tratta di un attacco al clericalismo tout court, ma alla sua declinazione in senso pauperista, inclusiva e meno attenta ai richiami di potere temporale. È il rifiuto di una Chiesa che dialoga con i poveri e i marginalizzati, di un pontificato che osa mettere in discussione le dinamiche geopolitiche consolidate, sfidando apertamente il connubio tra certa destra politica e il mondo religioso. Francesco viene accusato di essere teologicamente debole, ma tale giudizio nasconde un disagio più profondo: l’incapacità di accettare che un pontefice possa sottrarsi alla logica dell’alleanza tra il sacro e il potere.
Questa intellighenzia orfana del pontificato ratzingeriano agisce con un intento duplice. Da un lato, cerca di ergersi a custode di un’ortodossia dottrinale che, nella realtà, non le appartiene; dall’altro, pretende di influire direttamente sulle dinamiche interne della Chiesa, fino a sostenere indirettamente o apertamente quei settori del clero più critici verso Francesco. In questo senso, gli atei devoti non sono semplici osservatori esterni, ma protagonisti attivi di una polarizzazione che rischia di minare la stabilità stessa del pontificato.
La loro aspirazione non dichiarata, ma evidente, è quella di rivestire un ruolo quasi clericale, appropriandosi della narrazione ecclesiale. È il sogno di una Chiesa che torna a essere strumento politico, che rinuncia al messaggio evangelico per abbracciare l’ideologia. In questa visione, il conclave diventa non un momento di discernimento spirituale, ma una sorta di congresso politico, dove contano le strategie e i voti di scambio, e dove i sogni di gloria degli atei devoti trovano il loro massimo compimento.
In definitiva, questa ingerenza intellettuale tradisce non solo una profonda incomprensione del ruolo della Chiesa, ma anche un’arroganza culturale che si spinge a voler dettare l’agenda a un’istituzione che, pur essendo criticabile, risponde a logiche e finalità ben diverse. La tensione tra il messaggio di Francesco e le ambizioni di controllo esterno degli atei devoti rappresenta un pericolo reale: non tanto per il pontificato in sé, quanto per la credibilità stessa di una Chiesa che rischia di essere percepita come un’arena di conflitti mondani anziché come un luogo di incontro con il sacro.








