Da Ministro della Pubblica Istruzione, Università e Ricerca scientifica, Letizia Moratti decise nel 2002 di rimuovere dai loro incarichi dodici direttori regionali ed altri dirigenti di alto livello. In Sicilia fu rimosso Michele Calascibetta, il direttore generale della pubblica istruzione, senza alcuna motivazione, dall’oggi al domani. Il direttore aveva partecipato ad un concorso pubblico riservato ai dirigenti, vincendolo e classificandosi al primo posto della graduatoria. Si era guadagnato i galloni con pieno merito. La decisione del Ministro, che ignorava il merito, suscitò scandalo ed unanime indignazione. Michele Calascibetta godeva di grande stima; in più aveva promosso iniziative di grande rilievo in Sicilia e ovunque aveva operato. E allora perché? Un difetto l’aveva, abbastanza grave: non stava dentro l’area politica che guidava il governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi. Insomma, non si poteva contare su lui. Non bastava l’equilibrio e l’onestà professionale, né lo scrupolo con il quale svolgeva i suoi compiti, testimoniato da mille episodi. Il Ministro, perciò, applicò prima di ogni altro la riforma Frattini sullo spoil system con il paraocchi.
La vicenda, tuttavia, non si chiuse con la rimozione, che pure ebbe un effetto irreversibile in Sicilia, perché Calascibetta ottenne giustizia in tribunale. E sul caso scrissi un articolo, che fu pubblicato su La Repubblica, quotidiano per il quale nel 2007 collaboravo. Lo ripropongo perché racconta l’avventura professionale di un uomo di scuola che ha dato il meglio alla Sicilia ed ha conosciuto, come capita frequentemente a persone di talento, il volto cinico della politica (con la “p” molto minuscola).
Quando ha appreso che avrebbe dovuto difendersi dall’accusa di avere abusato dei suoi poteri di sindaco per la rimozione di alcuni dirigenti del comune di Milano, per nulla turbata, Letizia Moratti ha dichiarato che avrebbe firmato gli stessi provvedimenti che mandavano a casa un bel po’ di gente. Bisogna crederle: qualunque sia il giudizio sul suo operato – da parte dell’autorità giudiziaria o della politica – la signora Letizia Moratti va presa sul serio: ha applicato, ogni volta che ha potuto, con determinazione e in modo sbrigativo lo spoil system all’americana.
Da Ministro della Pubblica Istruzione, Università e Ricerca scientifica, decise nel 2002 di rimuovere dai loro incarichi dodici direttori regionali ed altri dirigenti di alto livello. Una autentica purga, un ricambio – per la eccezionalità del provvedimento – senza precedenti nella pubblica amministrazione, deciso grazie ad una legge proposta dall’allora Ministro della funzione pubblica Frattini al tempo del Governo Berlusconi.
Che Letizia Moratti fosse convinta dell’utilità del sistema lo testimoniano i numeri: quasi la metà dei dirigenti rimossi dalle amministrazioni dello Stato, grazie alla Legge, appartenevano al suo mega-dicastero. Il defenestramento avvenne in poche ore. Con una telefonata di un oscuro funzionario dell’ufficio di gabinetto del Ministro, i direttori generali seppero di dovere lasciare l’incarico, la sede, le funzioni. E per alcuni fu un autentico shock. Non c’era stata alcuna avvisaglia delle intenzioni del Ministro, né ovviamente c’erano state contestazioni sull’operato di alcuno. Un fulmine a ciel sereno, raccontano gli interessati, alcuni dei quali avrebbero lasciato la scuola.
Ai dirigenti rimossi dal loro incarico fu offerto…di tornare a studiare. L’ex direttore generale della Pubblica Istruzione in Sicilia, Michele Calascibetta, uno degli epurati, fu invitato a studiare la dispersione scolastica, con particolare riferimento alla situazione siciliana. Dovette lasciare la sede e trasferirsi a Roma senza sapere esattamente che cosa fare, come farlo e dove, al pari degli altri. Calascibetta era avviato ad una brillante carriera ed aveva vinto un concorso nazionale – primo posto in graduatoria – per dirigenti nella scuola. In Sicilia l’improvvisa destituzione destò sconcerto, perché il dirigente dimissionato non era considerato un uomo di parte.
I dubbi sulla legittimità e la correttezza dei provvedimenti li ebbero subito gli interessati, i quali fecero ricorso ai giudici del lavoro e alla Corte costituzionale. E proprio venti giorni or sono, senza clamori, è arrivata la prima sentenza del giudice del lavoro del tribunale di Roma, Maria delle Donne, che ha accolto il ricorso del direttore generale della pubblica istruzione della Liguria, Gaetano Cozzo, e ha condannato il Ministero della pubblica istruzione al risarcimento del danno causato nella misura di 450 mila euro circa. E’ assai probabile che l’orientamento sia seguito dagli altri giudici del lavoro e che il “metodo Moratti” costi assai caro all’amministrazione dello Stato.
La sentenza del tribunale di Roma segue infatti la sentenza della Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sui dubbi di legittimità della legge Frattini, passata alla storia come la legge sullo spoil system. Il 23 marzo del corrente anno la Consulta giudicò illegittima una norma della legge che ne consentiva l’applicazione entro il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore. Non è una questione marginale, come si potrebbe pensare. Il Ministero avrebbe dovuto procedere alla rimozione con un atto motivato “che consente un controllo giurisdizionale al fine di garantire scelte trasparenti e verificabili, in grado di perseguire la prosecuzione dell’attività gestoria in ossequio al precetto costituzionale dell’imparzialità dell’azione amministrativa”. Tutto questo non sarebbe potuto avvenire, sic et simpliciter, entro sessanta giorni.
La sentenza, di fatto, boccia lo spoil system all’americana, pur lasciando un varco al ricambio dei vertici dell’amministrazione. Non si possono trattare i dirigenti della pubblica amministrazione alla stregua di componenti dell’ufficio di gabinetto o portaborse, sostiene di fatto la Consulta. Il Ministero della pubblica istruzione, retto dall’attuale sindaco di Milano, sbagliò qundi a rimuoverli da loro incarico. L’azione amministrativa, ricorda la Consulta, è vincolata “nell’attuazione dell’indirizzo politico, ad un agire senza distinzioni di parti politiche e dunque al servizio esclusivo della Nazione”.
Roma non è Washington, insomma. Il Ministro avrebbe potuto assumere i provvedimenti di rimozione solo dopo avere esaminato le ragioni che consigliavano tali drastiche decisioni, ragioni che non potevano essere costituite dal grado di affidabilità politica dei dirigenti.
Il giudice del lavoro, accogliendo il ricorso, ha rilevato che “non c’è traccia di alcuna adeguata ed esauriente motivazione, né tanto meno di una puntuale attività istruttoria a cura del Ministero, che dimostri un’attenta valutazione della Pubblica Amministrazione nell’operazione di ricambio del vertice”.
Sulla buona fede del Ministero potrebbe avere giocato qualche altro elemento. La storia, infatti, non finisce con le rimozioni. Anzi, è proprio qui che viene il bello. I sostenitori dello spoil system, a meno di un anno dal rinnovo del Parlamento, in agosto del 2005, hanno modificato la legge e blindato i dirigenti incaricati dopo la purga del 2002. Bastano tre anni, e non cinque, per restare nell’incarico ricevuto. Una aperta sconfessione dello spoil system, l’impossibilità per il nuovo governo, qualunque fosse stato, di esercitare il diritto di mandare a casa chiunque e sostituirli.
E’ ragionevole sospettare, perciò, che lo spoil system non sia stato considerato affatto un vangelo, tutt’altro, da chi ne ha sposato le virtù, dal momento i dirigenti incaricati dalla signora Moratti non avrebbero potuto essere rimossi dal suo successore. Più che all’americana, dunque, lo spoil system è stato pensato “all’italiana”, essendo stato bocciato – oltre che dai giudici – da coloro che l’avevano applicato in modo drastico, frettoloso e imprudente. Proprio così, imprudente: ai dirigenti rimossi l’amministrazione ha fatto pervenire a casa un cospicuo assegno perché avevano lavorato con diligenza, raggiungendo i risultati richiesti. E allora perché mai l’avete mandati a casa?
La rivista più letta dagli operatori scolastici, “La tecnica della scuola”, non ha dubbi sulla risposta: “I nuovi dirigenti furono nominati all’interno della cerchia dei fedelissimi del Ministro”, che di lì a poco avrebbe dato il via ad una radicale ristrutturazione del suo Dicastero, per completare l’opera di smantellamento.
Alla vigilia del voto amministrativo, intervistata da Repubblica Radio – è il 16 febbraio 2006 – Letizia Moratti, dichiarava di non avere mai chiesto la tessera di partito ad alcuno dei suoi collaboratori: “Mi interessano solo le professionalità”.
Secondo il giudici del lavoro non è vero.






