Come vorresti che fosse e come pensi che sia? Sono le domande più urgenti che ci siamo fatti appena il nuovo Papa Leone XIV, Robert Francis Prevost da Chicago, si è affacciato dal balcone di Piazza San Pietro. Ed ognuno ha cercato dentro di sé le risposte: nelle proprie aspettative, auspici, desideri, nella propria visione della Chiesa e della Fede: l’Uomo della Provvidenza, il pastore di anime, l’austero simbolo in terra del Dio vivente, il pacificatore “disarmato e disarmante”. Per rispondere all’altro quesito, ha prima osservato e ascoltato i gesti e le parole, ha considerato il nome scelto, Leone, che conduce a Leone XIII, il papa della Rerum Novarum, l’abito della tradizione (la mozzetta rossa mai indoissata da Francesco) e, scavando ancora, a Leone Magno che ferma Attila, re degli Unni, senza tralasciare quel “Hic sunt Leones”, così imperativo ed evocativo e simbolico. Infine ha letto le biografie, brevi ma esaustive: la lunga esperienza missionaria in America Latina (Perù), la doppia cittadinanza (peruviana e statunitense), la città natale, Chicago, dove visse e si formò negli stessi anni Barak Obama, il governo della Chiesa (Prefetto del Dicastero per i Vescovi, per volontà di Francesco), la vocazione agostiniana e ambientalista.
Nelle biografie della prima ora non si trovavano però le parole pronunciate da Francis Prevost, tre mesi or sono, contro l’amministrazione americana sulle deportazioni di Trump e sull’amore per il prossimo che il Vice Presidente Vance ha declinato in cerchi concentrici secondo la dottrina Maga (First America), ispirandosi a Sant’Agostino. Ma è proprio questa circostanza ignorata dal cursus honorum, che ci invia una suggestione: potrebbe essere il ruggito di Leone XIV, ad avere fatto pendere la bilancia in suo favore in Conclave? I cardinali hanno voluto, forse voluto, che fossero due, non solo Trump, gli statunitensi più importanti del mondo, e abbiano affidato a Robert Francis Prevost da Chicago la missione di parlare all’America (del Nord e del Sud) con un linguaggio diverso dal capo della Casa Bianca, con il linguaggio dell’accoglienza, fratellanza, solidarietà, pace, ambiente e misericordia?
Lo Spirito Santo, naturalmente, avrebbe fatto in pieno la sua parte, suggerendo l’uomo che nel suo sacerdozio, missionario e di governo, assicurasse al popolo di Dio un pastore gentile e forte; lo spirito dei tempi (e la loro proverbiale malizia), si sarebbe presa la sua, senza sgomitare, facendo sì che Donald Trump regalasse il “soglio” a Robert Francis Prevost da Chicago, così come aveva fatto con Mark Carney in Canada, Antony Albanese in Australia, i suoi avversari più tosti. Se così fosse, sarebbe lecito gioire. La stagione dei pesi e contrappesi, inaugurata da Montesquieu, non sarebbbe finita, il terzo spirito, quello delle leggi, si manifesterebbe resiliente. Perfino nella Cappella Sistina. Grazie a Dio.







