La comunicazione è un’entità sfuggente, un campo minato per chiunque osi maneggiarla senza la dovuta accortezza. Essa non è mai pienamente governabile, neppure da chi si erge a maestro nell’arte del discorso pubblico. È come un fiume impetuoso, che scava il suo corso incurante degli argini imposti, svelando con brutalità la verità dietro le maschere costruite ad arte. Matteo Salvini, con il suo approccio diretto e le sue tecniche spicce, si trova spesso preda di un meccanismo che non può controllare fino in fondo, esponendosi così ai rischi intrinseci di un linguaggio che, per sua natura, è duplice e inaffidabile.
L’imprevedibilità della comunicazione risiede nella sua capacità di ribaltare i ruoli: il messaggero si trasforma in bersaglio, il messaggio in boomerang. Come scriveva Roland Barthes, “il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio contro l’altro.” Ogni parola diventa quindi un atto relazionale, ma anche un potenziale strappo, una ferita. Salvini, nel tentativo di cavalcare l’onda di un’apparente riabilitazione politica e giuridica, rischia di tradire quella coerenza che egli stesso vorrebbe accreditare.
La comunicazione politica, inoltre, è per sua natura aleatoria, esposta agli umori di un pubblico sempre più critico e disincantato. In questo contesto, il desiderio di imporre una narrazione autoreferenziale si scontra con la realtà di una società interconnessa, dove ogni messaggio viene analizzato, decostruito, riformulato. Come ammoniva Umberto Eco, “le masse non sono stupide; esse reagiscono, rispondono, si ribellano a un linguaggio che non le rispetta.”
Salvini, dunque, si muove su un terreno scivoloso, dove ogni passo falso diventa materia per la pubblica derisione. Il rischio più grande non è tanto il disvelamento del re nudo, quanto l’ulteriore perdita di autorevolezza e credibilità, elementi già messi in crisi da una comunicazione che, paradossalmente, più cerca di controllare e plasmare, più sfugge di mano. In definitiva, l’arte della comunicazione richiede una sottigliezza che poco si concilia con la brutalità dell’improvvisazione e con l’insistenza su narrazioni che si piegano ma non convincono.








