Mattia Feltri su La Stampa di Torino (6.2.25) ha riferito ai suoi lettori quante volte ricorre l’insolenza più comune, “vergogna” nel dibattito parlamentare italiano. Dal 1981 al 2009, stando ai calcoli dell’Agenzia Ansa, l’insulto è stato urlato più di 16 mila volta. La cifra potrebbe essere di gran lunga maggiore se la contabilità fosse estesa a “vergògnati” e “vergògnatevi”. Nel decennio successivo si è registrato un incremento di 10 mila unità; il 5 febbraio scorso, nel giorno dell’informativa alla Camera, grazie allo scambio di insulti, ben sette “vergogna” sono stati pronunciati dall’ex presidente del consiglio, Giuseppe Conte; il conto ascende a 19.555.
Fermarsi qui sarebbe riduttivo. Il lesssico politico riserva sorprese. E’ stato reso pubblica una “chicca”: l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, uomo di stretta fiducia di Giorgia Meloni, Giovanbattista Fazzolari, scriveva pochi anni fa, di Matteo Salvini come il «Ministro Bimbominkia». E questo è solo un “assaggio”del linguaggio colorito che corre sottotraccia ma non troppo: è stato messo in luce in un libro grazie ad una generosa ed accurata ricerca fatta sulle chat di stretta osservanza partitica.
I giudizi sulla qualità dell’eloquio non sono perciò affatto teneri, e non vengono solo dagli “esterni”. C’è chi s’indigna, pur facendo parte del mucchio selvaggio, magari per tracciare un confine fra sé e gli altri. In una rapida sintesi, le accuse più gettonate degli indignati hanno in comune gli ismi: tribalismo, idiotismo, cattivismo, fabulismo, vittimismo. La causa prima? La radicalizzazione e la conseguente polarizzazione, che portano allo…sfinimento,
C’erano una volta gli sherpa, coloro che scrivevano i discorsi, le dichiarazioni ufficiali, i messaggi formali ecc. Ci sono ancora, ma sono un’altra cosa. Americanizzati nel titolo come spin doctor, eredi dei ghost writers, protagonisti di storie memorabili grazie al cinema ed alla letteratura, gli sherpa oggi vivono alla giornata, vittime della irrefrenabile voglia di parlare di pancia e non di testa sulla scia trumpiana, vincente ed imperante. Il lavoro si è ridotto, specie quello “di testa”.
Da think-tank, laboratorio politico tattico e strategico, a osservatori impotenti? Sarebbe un errore derubricare la funzione fino alle estreme conseguenze, facendo di tutta l’erba un fascio. C’è chi si è riciclato ed è rimasto nelle grazie del datore di lavoro, e c’è invece chi ha cambiato mestiere. Ricordate la “bestia”, il team di Matteo Salvini, che regalò alla Lega il boom di consensi elettorali, dimostratisi poi effimeri? La “bestia”, il team, si è messo in proprio, promuovendo per conto terzi, con risorse e personale specializzato, non deve più rivolgersi a terzi.
Quando la bestia scese in campo, ebbe tanto successo da incontrare i favori di Giorgia Meloni, che ne copiò le incursioni, talvolta temerarie, sul web. Ed ora anche lei oggi si è situata su un “palchetto”, dal quale arringa il popolo con video-monologhi aggressivi e di grande impatto, senza tradire una antica verve maturata alla Garbatella, il luogo di elezione.
Certo, ci sono anche gli inconvenienti, quando si sceglie di entrare nelle stanze dei bottoni come i pistoleri nel saloon, stando con due piedi in una staffa: governo ed opposizione sono un ossimoro che una parte della sinistra credette di potere cavalcare con risultati disastrosi, rivelandosi un autentico boomerang. Ma il cuore e la ragione non battono le pulsioni ancestrali. Immaginate lo spin doctor che suggerisce a Benito Mussolini di non tenere le mani ai fianchi e le gambe larghe arringando il popolo: verrebbe ascoltato?
Laddove vige il sistema democratico, le responsabilità di governo pretendono, seconda logica antica, che si rappresenti il popolo per intero, non solo i followers; pretendono anche una cura delle relazioni con l’opposizione, evitando gamba tesa e dita negli occhi ,in maniera da non suscitare una conflittualità svantaggiosa. Alla lunga, il braccio di ferro su chi la spara più grossa potrebbe premiare chi denuncia e protesta, e non deve fare i conti con la realtà. Su questo terreno si misura la visione di un leader, uno statista, un uomo delle istituzioni, a meno che non si reputi più fruttuoso ingraziarsi il popolo usando il machismo lessicale, che regala apprezzamenti e plauso istintivo.
Dalla bagarre, si esce malamente e si fa danno al Paese. Secondo una delle celebri leggi del prof.Cipolla sulla stupidità, sarebbe come fare un danno a se stessi ed agli altri. Più idioti di così…si muore, sostiene Cipolla.
Certo, guardandosi attorno, bisogna crederci per fede al postulato.






